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Alla prima occhiata il giudice Dessalier vide solamente una sorta di massa bruna gelatinosa tutta bozzi e grinze, rughe contornate da spruzzi bianchi o verdastri, ma la mazzata arrivò quando aprì la bocca per parlare.
– Che brutto aspetto ha questa…
Non riuscì a finire la frase. Tutta quella roba era rimasta chiusa per un paio di settimane, e i gas del cibo marcio che erano rimasti intrappolati nella pentola non vedevano l’ora di prendere aria. La prima zaffata colpì le narici di Myriam Dessalier come un pugno in piena faccia. La sorpresa fu tale che non ebbe la prontezza di riflessi di chiudere la pentola col suo coperchio, ma riuscì solamente a scostarsi di quanto le era permesso dallo spazio tra la postazione e la parete di fondo. Solo dopo qualche secondo riprese il controllo di sé e chiamò gli operatori ausiliari.
– Presto, portate via questa roba puzzolente! Presto, fate presto!
Uno degli ausiliari prese la pentola, la chiuse, e, tenendola lontano da sé per tutta la lunghezza delle sue braccia, la riportò nella scatola. Questa venne venne subito richiusa con un’energia non necessaria e fatta uscire dall’aula.
Intanto però il lezzo aveva invaso tutto lo spazio disponibile, e tra il pubblico c’era chi si teneva la mano sulla bocca, chi si turava il naso, e una persona stava vomitando. Anche Vincente Kos era pallido, ma forse per altri motivi.
Il giudice si alzò in piedi.
– Signor Kos, questo è l’ultimo affronto, lei avrà modo di pentirsi per questo comportamento irrispettoso oltre ogni misura. Se finora sono stata ragionevolmente benevola con lei, ora non le concederò il minimo spazio di manovra, e annoterò come aggravante ogni scostamento dalle procedure standard, la sua scorrettezza è senza limiti.
– Sono costernato, Vostro Onore, non è stata colpa mia, l’avevo avvisata di…
– Non dica un’altra parola, non le converrebbe. Farò richiesta alla Direzione del tribunale che le venga impedito di intervenire direttamente nel processo, ovvero io avrò contatti solamente con il suo collegio di difesa. È tutto. L’udienza è sospesa fino a nuova convocazione, pertanto l’imputato venga ricondotto nella sua residenza di custodia. E fate uscire questo odore mortifero dalla mia aula!
Per fortuna di Vincente Kos, gli esperti della difesa furono molto abili nel far osservare ai loro omologhi dell’accusa che l’imputato aveva energicamente chiesto al giudice di non sollevare il coperchio, e che era stato proprio il giudice a richiedere la presenza in aula di quell’oggetto. Volendo evitare un contenzioso nel contenzioso, riuscirono a combinare un incontro ufficioso tra le due parti, vis-a-vis, per un chiarimento. Così, un paio di giorni dopo quell’increscioso episodio, Myriam Dessalier e Vincente Kos si incontrarono nell’ufficio del giudice, entrambi assistiti telematicamente dai loro rispettivi collegi.
Esaurite le inevitabili formalità, fu Kos a prendere la parola per primo. Era forse un atto temerario, in quanto era stato lui la causa di quello scandalo.
– Signor Giudice, mi permetta di porgerle le mie scuse per l’esperienza che ha dovuto sopportare. Anche se il mio collegio trova che non mi si possa imputare una mancanza di rispetto, non posso che giudicarmi come responsabile ultimo di tutta questa faccenda, e di questo me ne dolgo più di quanto lei immagini. Mi dica, la prego, come potrei farmi perdonare.
– Io non sono qui per perdonare, io sono qui per giudicare, e i miei esperti mi hanno fatto notare che ho agito incautamente, perciò parte della responsabilità è anche mia.
– Quindi sarà consentita la mia presenza in aula?
– Non vedo come potrei negargliela, anche se non capisco perché ci tenga tanto.
– Perché nessuno degli esperti, né i miei e né i suoi, possono sapere quello che solo io conosco, e non ne possono parlare con proprietà.
– Bene, se lei ritiene di essere il depositario di tali conoscenze, spero che non si tirerà indietro se le faccio una semplice domanda personale, qualcosa che resterà qui, tra queste pareti, fuori dal processo.
– Tutto quello che vuole, signor Giudice.
– Bene, allora interrompa il contatto col suo collegio.
– Fatto.
– Mi dica, signor Kos, ma che stomaco ha lei per riuscire a mangiare quello schifo?
– Mangiare? Nemmeno mi sognerei di assaggiare il contenuto di quella pentola.
– Ma allora…
– Non è possibile conservare quel tipo di alimento per due settimane senza che si degradi irreparabilmente, non si comportano come i cibi di sintesi.
– I cibi normali, lei vuole intendere.
– Se vuole li chiami così, signor Giudice, ma secondo me restano una costruzione artificiale.
– Va bene, signor Kos, non ci accapiglieremo per la terminologia.
– La conservazione è possibile solo in atmosfera protetta, oppure a bassissime temperature, ma il risultato migliore si ottiene mangiando quelle pietanze subito dopo la loro preparazione.
– Ne deduco allora che quella cosa che lei chiama minestra aveva un altro aspetto quindici giorni fa, e soprattutto non puzzava come un cadavere.
– Ah, ne può star sicura. Durante il processo lei è stata chiamata a giudicare la bellezza di un albero, ma per farlo le sono stati consegnati dei tizzoni anneriti dopo che quello era stato bruciato, non so se mi spiego.
– Quindi non è più possibile appurare la veridicità di quanto lei ha affermato durante il dibattimento?
– Certo che lo è, potrei far crescere un altro albero simile al precedente.
– Come ha detto, scusi?
– Intendevo dire che potrei preparare di nuovo una pietanza simile, e da quella lei avrebbe tutti gli elementi per emettere un giudizio obiettivo. Purtroppo non ho più accesso alla mia proprietà, perciò nemmeno alle mie materie prime e alle attrezzature, ma se lei volesse…
Vincente Kos lasciò la frase in sospeso, adesso stava al Myriam Dessalier decidere se andare a fondo di quella faccenda, anche a costo di qualche forzatura procedurale, oppure se limitarsi a quanto già emerso nel processo.
Ci pensò un po’ su.
Decise di rischiare. Male che vada avrebbe ricevuto un richiamo verbale, poi sarebbe sceso l’oblio su quel piccolo infortunio nel quale era incorso il giudice Dessalier. Comunque la sua integrità morale non le avrebbe mai permesso di giudicare con leggerezza, ovvero senza aver prima esaminato nel dettaglio tutte le prove a carico o a favore dell’imputato.
Così fu. Il giudice emise un’ordinanza di temporaneo dissequestro, fece accompagnare l’imputato nella sua proprietà, sempre sottoposto a controllo da parte del gruppo investigativo del tribunale. L’imputato raccolse alcuni elementi vegetali presenti in un appezzamento di terreno lavorato, poi estrasse da un box refrigerato alcuni pezzi di qualcosa che assomigliava alla carne, e infine passò a un complesso procedimento che comprendeva la riduzione dimensionale dei componenti, il loro amalgama, e la cottura in un contenitore chiuso posto sopra una fonte di calore, in quel caso elettrica. Tutto era cominciato di prima mattina, e nel tardo pomeriggio l’imputato fu in grado di consegnare a un ausiliario del tribunale un contenitore termico sigillato.
– Ecco, porti questo al giudice Dessalier, e le dica che va consumato stasera.
Non servirebbe aggiungere che quanto preparato da Kos non venne consegnato direttamente a Myriam Dessalier, ma venne preventivamente analizzato per verificare che non vi fossero presenti sostanze dannose per la salute. Solamente dopo l’esito positivo di quel veloce esame il giudice ricevette quanto preparato dall’imputato, e ne poté valutare in totale autonomia la qualità organolettica.
Tre giorni dopo le parti si ritrovarono in aula per la ripresa del processo.
– Signori, l’udienza è aperta. L’imputato è in aula?
Non sarebbe stato necessario dirlo, ma quella era la formula di apertura.
– Bene, vedo che il signor Vincente Kos è in aula. Buongiorno.
– Buongiorno Vostro… ehm, signor Giudice.
– Il suo collegio di esperti le avrà già comunicato che non essendovi altri elementi da esaminare il procedimento può passare alla fase conclusiva. Lei sa bene che in questi tre giorni ho valutato le conclusioni di entrambi i collegi, e sulla base di questa valutazione sono investita della facoltà di emettere una sentenza, oppure di rimandarla a un ulteriore processo di livello aggravato.
– Ho capito, signor Giudice.
– Prima che mi esprima, lei ha qualche dichiarazione da fare?
– Nessuna, quello che si doveva dire è stato detto, e quello che si doveva fare è stato fatto. Signor Giudice, la sua obiettività è nota, e sono certo di un suo giudizio sereno e distaccato, non avrei potuto sperare di meglio. Le anticipo fin d’ora che, anche qualora la sentenza mi fosse sfavorevole, non intendo ricorrere in appello. Ho fatto trascrivere questo dal mio collegio di difesa.
– Decisione rischiosa, signor Kos. Lei è estremamente sicuro o estremamente pazzo.
– In una qual certa misura l’uno e l’altro.
– Sta bene. L’imputato si alzi in piedi. Questa è la mia decisione. Gli elementi raccolti hanno dimostrato che l’imputato ha effettivamente commesso tutte le azioni descritte nei capi d’accusa, nessuna esclusa, e in più sono emersi altri comportamenti esecrabili. Ritengo che il comportamento dell’imputato non sia da considerarsi accettabile per la società, e pertanto dispongo che esso venga pubblicamente censurato.
Il pubblico presente mormorò la sua approvazione, e si levò persino qualche epiteto offensivo verso Vincente Kos.
– Silenzio in aula, prego! Nonostante le azioni commesse dall’imputato, nessuna parte in causa ha fatto richiesta di risarcimento danni, pertanto questo aspetto viene dichiarato chiuso, fatte salve le eventuali sanzioni economiche che questo tribunale riterrà di comminare.
Ora tutti attendevano, e Vincente Kos con più apprensione degli altri, la sentenza, sicuramente di condanna, e la relativa pena, sicuramente pesante.
– Del resto questo tribunale non è stato in grado di dimostrare l’effettiva illegalità delle azioni intraprese dall’imputato, e questo non a causa di negligenza del collegio di accusa, bensì perché non vi sono leggi che vietano espressamente, e nemmeno implicitamente, quanto avvenuto. L’imputato non ha messo in pericolo nessun componente di questa comunità, non ha provocato loro nessun danno temporaneo o permanente, non è stato crudele verso esseri viventi consapevoli, non ha immesso nell’ambiente sostanze nocive in quantità apprezzabili, e per le sue attività sono state utilizzate solamente attrezzature di sua legale proprietà. L’unico reato chiaro, formale e inconfutabile è quello di non aver consegnato del materiale storico alla sede di competenza, ma in questo caso mi troverei a dover condannare mezza città in quanto non c’è persona che non ami serbare in casa qualche oggetto appartenente ai propri avi. Dunque io dichiaro l’imputato non colpevole.
Ci sarà stata una dozzina di persone, ma il caos che generò quella sorprendente sentenza le fece esplodere e rumoreggiare come se in aula ce ne fossero il doppio.
Anche Vincente Kos era sbalordito, lo si vedeva dal suo colorito pallido e da come barcollava, incerto se sedersi o scappare.
– Silenzio in aula, non ho ancora terminato! Signor Kos…
– Sì, signor Giudice?