Secoli fa mi capitava di avere un atteggiamento negativo nei confronti di vari aspetti sociali e culturali maggiormente diffusi e comunemente accettati. Erano gli anni 70, e un velleitario ribellismo giovanile percorreva parte della mia generazione, una tendenza a opporsi a quanto ci veniva graziosamente offerto dal modello standard di ragazzi perbene. Confesso che talvolta le idee erano poche e ben confuse, però appena si intravvedeva la possibilità di formare un elemento di disturbo, ecco che lì si concentravano le energie, l’immaginazione, l’impegno e la voglia di sperimentare. Più che di progetti, si viveva di idiosincrasie, senza sfumature di grigio, e la scena era illuminata da un sole spietato che prometteva di distruggere tutto davanti al nostro cammino. Poi vennero gli anni 80, i partiti pappa e ciccia, il trionfo dell’edonismo, le mode cretine, la brama di benessere e la televisione maiala, per cui chi non si adeguava alle nuove tendenze non era più visto come un “originale”, bensì veniva etichettato come “strambo”.
Il “politicamente corretto” degli anni 90 fu il colpo di grazia, nel senso che nulla, nemmeno il peggio, doveva essere respinto con forza, ma invece si doveva sempre cercare una mediazione, una visione distaccata, il massimo comun divisore, la fine di ogni confronto schietto.
Non sono un eroe senza macchia e senza paura, perciò non mi opposi troppo fieramente a quella marea montante di liquami, le mie forze erano minime e ne sarei stato travolto, però lo spirito “eccentrico”, dopo il naufragio delle fantasie giovanili, aveva la necessità di trovare della terraferma per sopravvivere, se non altro per dispetto, e la trovò in uno stile di vita scomodo e distante. Unico della mia famiglia, uscii dalla città per rintanarmi in una casetta nella quale riversai anni di lavoro per renderla abitabile al gusto mio e di mia moglie, oltre ovviamente alle nostre magre finanze. In seguito, massimo fu lo sconcerto di amici e parenti quando iscrivemmo i figli alla scuola elementare slovena, proprio io, figlio di esuli istriani! Sul lavoro poi, se una cosa era sempre stata fatta tonda, facevo del mio meglio per dimostrare che si poteva farla quadrata, e talvolta ci riuscivo pure, salvo poi vivere di Maalox, e così via nei riguardi della carriera, dei consumi, della moda, dei viaggi, eccetera.
Insomma, per farla breve, da decenni orbitavo attorno a questo sistema di valori annacquati senza potermi staccare, ma anche tenendomi a una distanza di sicurezza per non venirne assorbito, con la sensazione che ogni manifestazione plateale di dissenso fosse ormai anacronistica, forse persino antistorica, ma a salvarmi dall’entropia morale, a fornimi una sorta di elisir di giovinezza, è arrivata questa nuova destra clericofascista, razzista, ignorante, ipocrita, nazionalista, venale, escrementizia, bugiarda, violenta e miope, la quale mi è fastidiosa come uno spasmo al colon.
Va detto, va ripetuto, va inciso sulla pietra, esiste ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tertium non datur.
Se la scelta è tra essere un servo sottopagato e un mendicante, non si può chiamarla libertà. Se chi ha soldi e potere è padrone assoluto delle sue decisioni e delle conseguenze, non si può chiamarla libertà. Se, sborsando una bella cifra, posso curarmi invece di aspettare e sperare, non si può chiamarla libertà. Se ho un telecomando che mi serve per scegliere quale mentitore ascoltare, non si può chiamarla libertà. Se al centro commerciale ho sempre modo di soddisfare le mie effimere e mutevoli voglie, salvo trasformarle in rifiuti poco dopo, non si può chiamarla libertà. Se decido di armarmi fino ai denti per difendermi dal mio vicino, non si può chiamarla libertà. Se un intimo convincimento va sempre contestualizzato, conformato alla sensibilità altrui, adeguato ai tempi, non si può chiamarla libertà.
Perciò ora ho deciso che la misura è colma. A costo di passare per bilioso e intollerante, una Cassandra che vaticina futuri distopici chiamando sgarbatamente le cose con il loro nome, respingendo ogni ipotesi di resa, o semplice compromesso, con il comune sentire, isserò di nuovo le vele delle mie idiosincrasie, candide un tempo, oggi ruvide e ispessite, per mettere la prora della mia piccola barca controcorrente e controvento, e non ho intenzione di cedere il punto, anche a costo di colare a picco in questa mia ultima gioventù.
Preparatevi al peggio.
