Compro una vocale

Chi segue questo blog dovrebbe già sapere che nei riguardi della religione nutro molti sospetti, nel senso che la ritengo troppo pervasiva e pertanto complice di alcuni aspetti negativi del comportamento umano (o disumano). So bene che più di qualcuno, direi pure la maggioranza, potrebbe definire questa mia affermazione offensiva verso coloro che si rivolgono alla religione per fare del bene o per trovare delle risposte ai loro dubbi esistenziali, e quindi sono disposto a sopportare qualsiasi anatema, e posso farlo perché le critiche più feroci arriveranno dagli ipocriti, esseri dei quali non ho la benché minima considerazione. A tal riguardo vi rimanderei a una mia gianografia scritta nel lontano 2015, e che si intitola “LA SENTINELLA”: È difficile che troviate più accanimento di quello che c’è in chi difende una convinzione vecchia e insincera. Egli infatti ha scelto di proteggere un uovo il cui fragile guscio, se minimamente spezzato, non riuscirebbe più a trattenere l’insopportabile fetore del marcio che vi è al suo interno.
A questo punto però mi corre l’obbligo di specificare cosa io intenda per “religione”, e lo farei allargando il campo per questa definizione.
Prendete una persona, o un gruppo di persone, e immaginate che esse si rivolgano al mondo giurando che quanto loro stanno affermando è una verità assoluta e incontrovertibile, e nel farlo promettano la felicità a chi crede alle loro parole, pena ogni tipo di sventura a coloro che le contestassero, ebbene, saremmo di fronte a una religione. A prescindere dal suo estremismo, dal suo seguito, dalla sua attualità, il suo tratto caratteristico sarebbe l’assenza di basi certe e dimostrabili e la sua perpetua proiezione verso un futuro colmo di delizie per i credenti.
Vi confesso che fino a questo punto sarei anche propenso ad accettare l’esistenza delle religioni, ovvero comprendo che in quelle, a seconda delle proprie inclinazioni, si possa trovare sollievo quando l’esistenza terrena ci angoscia con tutti i suoi lati oscuri e talvolta anche privi di senso, però dobbiamo troppo spesso constatare che questo processo psicosociale si comporta come un’ameba insaziabile, ovvero tende ad allargarsi in maniera da includere tutto e tutti.
Lo fa quando fa ricadere sotto i suoi dogmi ogni aspetto della vita, i rapporti umani e famigliari, l’arte e la cultura, le ambizioni personali anche minime, le scelte esistenziali, e persino i sogni.
Lo fa quando tende a imporre i suoi dogmi anche a chi non ne ha fatto richiesta, a chi ne segue altri, a chi non li sopporta, a chi vive bene anche senza, e siccome in ogni visione arcaica il numero è potenza, la religione, come, un blob, sarà sazia solamente quando avrà assimilato ogni essere umano.
Lo fa, ben conscia che il processo non è indolore, e anzi sembrerebbe proprio che a ogni promessa di futura felicità corrisponda una dose uguale o persino maggiore di temporanea tribolazione, un processo che però spesso dura tutta la vita, ovviamente non per i soliti privilegiati, e tutta quella sofferenza invece di essere un deterrente sembra che alimenti quella religione, facendola apparire come l’unica via d’uscita, seppur remota, all’immanenza della disperazione. In più di qualche caso si potrebbe dire che il motto caratteristico della religione sia “tanto peggio, tanto meglio”, meglio per chi ne è al vertice, ovviamente.
È arrivato il momento di uscire, e con ciò intendo dire che è il caso di uscire dalla chiesa, anche se con questo temine non intendo un edificio più o meno pretenzioso, bensì quell’architettura immateriale che funge da gabbia protettiva o prigione soffocante, e sarebbe troppo facile collegare la mia idea di chiesa con l’istituzione cattolica che qui è prevalente, come pure con le altre organizzazioni “concorrenti”, cristiane o meno, ma dovreste già sapere che con me niente è facile.
Dunque, prendiamo una ”chiesa”, ovvero una definizione chiara ed esclusiva, nominiamo dei “preti”, i depositari della verità assoluta e uniche figure deputate a diffonderla, emettiamo dei “dogmi”, una serie di regole scritte e non scritte da seguire senza esitazione, stabiliamo una serie di premi e punizioni per chi osserva o non osserva i dogmi, instilliamo nella base dei “fedeli” l’insopprimibile desiderio di convertire il mondo, e infine esaltiamo in ogni dove e in ogni maniera la superiorità della “religione” così ottenuta. Se abbiamo agito con sufficiente oculatezza e metodo avremo a disposizione uno strumento potentissimo in grado di autoalimentarsi e di contrastare il nostro nemico, qualsiasi cosa esso sia.
Ah, sì, quasi dimenticavo l’ingrediente principale in grado di far alzare in volo una struttura complessa che altrimenti resterebbe impantanata a marcire nelle miserie terrene: è necessario trovare un “dio”.
Cercate bene nella vostra memoria le reminiscenze di storia antica, e allora potrete trovare una o più divinità che sono state guida e garante di regni e imperi solleticando le ambizioni di potere e conquista del regnante di turno. Gli assiri conquistavano la Mesopotamia in nome di Assur, una città divinizzata, il faraone egizio era un uomo-dio che sacrificava sull’altare della sua presunta immortalità migliaia di schiavi, se Mazda era il re degli dei persiani, il re dei persiani era anch’egli oggetto di culto, perciò infallibile nelle sue scelte belliche (clamorosamente errate in Grecia), un pantheon di divinità cooptate da quelle greche accompagnavano Roma nelle sue conquiste, e infine anche gli imperatori vennero divinizzati. Mentre cristiani e mussulmani si scannavano senza pietà alle porte di Gerusalemme in nome del loro rispettivo dio, l’unico e onnipotente, oltreoceano i re maya, semidei per i loro popoli, assistevano compiaciuti l’estrazione del cuore pulsante dalle vittime sacrificali ancora vive, e ciò come omaggio agli dei che avrebbero garantito potere e ricchezza, e pochi secoli dopo gli inquisitori cattolici avrebbero insanguinato l’Europa in nome di un dio che solo all’infallibile papa di Roma confidava il suo volere.
Per venire a tempi più vicini a noi sarebbe il caso di considerare altrettanto terribile il fanatismo dei soldati giapponesi che combattevano agli ordini di un dio vivente sul trono di Tokyo, fino all’orgoglioso sacrificio supremo. Suppongo inoltre che sia superfluo trattare dei drammi che il mondo sta vivendo a causa degli integralismi che hanno come faro una specifica religione, un faro che però , come le mitiche sirene dell’Odissea, attirano gli sventurati verso la loro catastrofe.
E già che siamo arrivati ai tempi moderni ci restiamo, perché di altre potenti chiese devo raccontare.
Dio fondamentalmente è l’utopia perfetta, la figura ideale che comprende ogni beatitudine, verità e giustizia, il non plus ultra di ogni pensiero umano, sorgente e fine, messaggio e messaggero, rivelazione e mistero. Però, applicando una sorta di proprietà commutativa, se dio è l’utopia, anche l’utopia è dio, e appunto qui la faccenda si complica e, al contrario, si rivela.
Perché gli emuli di Platone non sono mancati e non si sono mai fatti mancare niente, specialmente quando si è presentata l’occasione di realizzare ciò che fino a quel momento era un sogno su carta.
Se tutto sommato gli scritti di Tommaso Campanella o William Morris appaiono come affascinanti quanto innocue rappresentazioni di un mondo ideale, altro effetto hanno sortito i testi che in nome di quella o quell’altra classe sociale, quella o quell’altra nazione, quella o quell’altra organizzazione economica, hanno offerto il destro a persone che ambivano al potere assoluto, anche se abilmente dissimulato.
Fiumi di parole sono stati spesi per descrivere gli orrori del regime comunista nell’URSS e dintorni, eppure non molte persone hanno letto i testi che nel XIX secolo prefiguravano un’utopia, abbastanza condivisibile nelle intenzioni, dove il proletariato trovava giustizia e non veniva più sfruttato. I bolscevichi hanno fatto leva su quelle aspirazioni sociali e hanno inventato un dio: il partito. Tramite i loro sacerdoti, i commissari politici, hanno per decenni imposto la loro religione laica a forza di promesse irrealizzabili e severissime punizioni. Oggi poco è cambiato in Russia, giacché oltre al partito si è aggiunta la divinità nazionalista, col risultato di una società bloccata dalla paura e dall’idiozia.
Al regime comunista sovietico si è presto accodato quello cinese, con la versione locale del dio-partito, e i dogmi imposti dal vangelo rosso di Mao. Dopo la morte del Grande Timoniere che aveva più volte fatto incagliare la nave cinese, il partito comunista non è sceso dall’olimpo, anzi ha trovato nel mercato una nuova sferza per far galoppare gli abitanti, e, come ai bei tempi delle guardie rosse, chi solamente osa muovere un’obiezione al regime nazionalsocialista cinese ha ben modo di conoscere cosa siano la scomunica e la relativa penitenza.
Anche la vicina Corea del Nord ha il suo dio in terra, si tratta dell’adorato Kim Jong-un, il quale è oggetto di culto con una devozione che supera il fanatismo, più simile a quella verso un faraone che a un dittatore. Anche qui una sola parola contro Kim Jong-un equivale a una bestemmia, e come tale viene punita severamente (molto severamente, stile medioevo).
A pensarci bene, non sono passati troppi anni dalla pubblicazione del Mein Kampf, il vangelo nazionalsocialista scritto di suo pugno da Adolf Hitler. Egli, come un messia, doveva “guidare” il popolo tedesco verso il dominio del mondo, e le divinità che lo ispiravano e che infiammavano la fantasia di quei deboli di spirito risalivano all’età del bronzo. Anche qui l’aspetto fideistico dei dogmi nazisti faceva a cazzotti con la realtà, ma pochissimi si arrischiarono a dubitare del sacro verbo, quello del dio-fuhrer, perlomeno finché durò quell’impazzimento generale.
Quindi sono queste le divinità “cattive” che sono state, sono e saranno la causa di ogni sopraffazione?
Sì, lo sono, ma ce ne sono altre che con sistemi meno diretti ma altrettanto efficaci sfruttano la credulità popolare e fanno leva sulla paura per raggiungere i loro scopi. La prima che vi presento è quella che da millenni inquina con i suoi dettami ogni aspetto dell’umanità, ovvero la brama di ricchezza, la quale si manifesta attraverso il dio denaro.
Inutile negarlo, pochi resistono alle lusinghe di questa divinità così seducente, alle sue promesse di felicità, alla sensazione di potere che emana, in essa e in chi ne è favorito. Per contro, l’allontanarsene o il trascurare colpevolmente di seguirne i precetti è fonte di afflizione, materiale e morale, e per giunta il castigo è immediato e ben visibile affinché il reietto possa subire l’onta del disprezzo generale.
Immagino che siano noti gli efferati delitti fomentati dalla brama di ricchezza, come pure le figure che li perpetrano, ladri, truffatori, ricattatori, assassini, falsari, e altri ancora che seppur detestabili altro non sono che i più convinti adepti di questa antichissima religione. Magari voi starete supponendo di esenti da tale forma di adorazione, ma purtroppo così non è. Provate a negare che ci pensate ogni tanto alla la vostra situazione finanziaria, che magari qualche volta è stata fonte di cruccio, o che vi farebbe piacere una maggiore larghezza di mezzi, giusto per non avere più preoccupazioni di sorta, e se come credo, non lo negate, andate con la memoria a uno degli episodi della vostra vita nel quale il dio denaro vi ha condotto a compire un’azione poco commendevole. Magari voi siete delle persone equilibrate, magari la vostra situazione economica è abbastanza tranquilla, magari utilizzate il denaro con moderazione, perciò non avvertite la capillare e invasiva presenza di questa divinità, ma un qualsiasi evento eccezionale, una crisi, una disgrazia, una fattura saltata, una mossa incauta, potrebbe dolorosamente ricordarvi quant’è potente e spietata questa divinità, e come essa pretenda continuamente dei sacrifici umani, il vostro oppure quello di molti altri poveracci in vostra vece.
Vorrei ora parlarvi di una divinità ancora più subdola, alla quale quasi tutti ci sottomettiamo quasi con gratitudine, anche se il suo nome è sconosciuto ai più: Pangloss.
A coloro che sanno chi è questo dio non serva che dica altro, ci siamo già capiti, per gli altri è necessario una breve premessa. Nel 1759 il filosofo Voltaire scrisse il romanzo “Candido, o l’ottimismo”, nel quale un giovane orfano ingenuo e sincero di nome Candido vive in un castello della Vestfalia, essendo un probabile figlio naturale, ovviamente non riconosciuto, del barone. Al giovane viene affiancato un precettore, Pangloss, una figura che ha una visione ottimista e conservatrice del mondo. Quando il castello viene conquistato dai bulgari, Candido e Pangloss fuggono e affrontano per anni tutta una serie di disavventure. Tralascio qui di riportare qualsiasi accenno alla trama poiché è abbastanza lunga e forse poco interessante per i gusti attuali, però in questo romanzo la figura più importante, anche se come semplice coprotagonista, è appunto Pangloss, “Tutto lingua” dal greco, il quale nelle intenzioni dell’autore è la raffigurazione simbolica e irrisoria dei seguaci di Leibnitz, e dal suo apparente conservatorismo sorge una visione rivoluzionaria del mondo. In buona sostanza, con ragionamenti circolari, egli afferma che “si vive nel migliore dei mondi possibili”, e che tutto trova una spiegazione per il bene, come per esempio il nostro naso che è nato per sostenere gli occhiali, e non recede dalle sue convinzioni nemmeno quando subisce le ingiurie più drammatiche.
Perché vi ho parlato del Candido di Voltaire? Perché Pangloss è il messaggio mainstream che ci avvolge, e ognuno di noi nel suo piccolo è Pangloss.
Vivendo in una zona di confine, ho avuto modo di interfacciarmi con situazioni sociali diverse da quella italiana, e tra queste anche la Jugoslavia di Tito, e ho potuto constatare su entrambi i lati di quella linea di separazione nazionale, linguistica e politica, che la maggior parte delle rispettive popolazioni si mostrava convinta di vivere nel migliore dei mondi possibili, e dichiarava che mai avrebbe accettato di buon grado un sistema diverso.
I fatti hanno dimostrato che le cose non stavano così, la Repubblica Federale di Jugoslava si è dissolta, e con essa il sistema socialista che la sosteneva. I collettivisti d’un tempo sono diventati degli individualisti, rincorrendo gli agi e i lussi del sistema capitalista, in qualche caso addirittura eccedendo in edonismo. Allora, visto il successo, si pensare che la nostra “way of life” sia la migliore, ma vi assicuro che non è vero, non lo è perché basta un telegiornale per capirlo, non lo è perché siamo comunque scontenti, non lo è perché bisognerebbe aver girato tutto il mondo per poterlo affermare, ma soprattutto non lo è perché semplicemente siamo resi ciechi dalla paura di cambiare, e per un cieco la cosa più sicura che egli può fare è restare fermo e sperare che nulla arrivi a turbare la sua esistenza. Qualora succedesse quell’evento indesiderato egli menerà colpi a caso, in tutte le direzioni, incurante degli effetti e di chi o casa andrà a colpire.
Così facciamo noi, convinti che il nostro mondo, per quanto avaro di soddisfazioni, sommamente ingiusto nella distribuzione della ricchezza, frenetico nei suoi ritmi, grande divoratore del nostro tempo, talvolta irrazionale e violento, cinicamente competitivo, sottilmente classista, sia il migliore dei mondi possibili perché ogni variazione, ignota e perciò spaventevole, lo volgerebbe al peggio. Tale accidia mentale ci porta a sospettare di ogni forma sociale che non sia la nostra, e se possibile non ci facciamo scrupolo di tenerla a distanza, contrastarla, combatterla, distruggerla, a ogni costo.
Avanti il prossimo concorrente.
Chi mi conosce sa che non amo le bandiere, nessuna tranne la mia, che poi sarebbe un ciliegio che cambia colore ogni stagione. Non le amo perché troppe volte sono state il vessillo del più bieco nazionalismo, e io che in qualche maniera ne sono vittima, mal sopporto ogni sventolamento di sorta con tanto di fanfare e altisonanti discorsi. Rimanderei coloro che volessero conoscere meglio il mio punto di vista, quella di un non figlio di una non terra, al mio vecchio postFrontieri”, sempre su questo blog. Rimane il fatto che il nazionalismo è stato e purtroppo ancora sarà una delle peggiori sciagure dei nostri tempi, una perfetta macchina per macinare vite umane e fare profitti. Questo aspetto della civiltà (civiltà?) mi disturba a tal punto che io detesto il nazionalismo quanto il razzismo, entrambe deviazioni dal buon senso fondate su presupposti artificiosi, utili solo a separare le genti dividendole in buoni e cattivi, schiavi e padroni, civili e selvaggi, eccetera, mettendo gli uni contro gli altri per irrigare col sangue che quei conflitti fanno scaturire i campi del tornaconto di pochi.
Anche se vi sarà difficile a causa di un insistito imprinting “patriottico”, cercate di considerare lo scopo ultimo di questa divinità, variamente colorata per ogni confessione, ma solo in apparenza in quanto è sempre di un solo colore, nero come il buio della ragione, e ragionate sul fatto che all’altare di questo dio insaziabile non si risparmiano i sacrifici umani, in una misura tale che potremmo considerare i Maya e gli Aztechi dei dilettanti.
È già da un bel po’ che sto scrivendo, e non saprei misurare la pazienza con la quale voi sarete arrivati fino a questo punto di questa mia geremiade, perciò troverei giusto arrivare al punto, ovvero spiegare il senso di quel titolo un po’ sibillino.
In tutto il testo c’è un unico filo conduttore, l’odio che ci porta a compere le azioni più riprovevoli, in maniera autonoma oppure organizzata è uguale, perché come il mare è fatto di tante gocce d’acqua, anche i processi collettivi, l’ostracismo, l’integralismo, l’intolleranza, il consumismo, la guerra, l’inquinamento, tanto per dirne qualcuno, vengono costruiti saldando le minuscole tessere
di inquietudine personale, le piccole paure, le piccole invidie, le piccole debolezze, le piccole rivalse, le piccole amarezze, le piccole incomprensioni, con la ragnatela della paura.
Per completare questo nefando processo è necessario trovare un catalizzatore al quale tutte le vittime devono guardare, e non c’è nulla di meglio di un dio, qualcosa di ineluttabile, esclusivo e trascendente capace di generare un comune sentimento di fortunata predestinazione, un fato al quale sarebbe stupido e quasi peccaminoso negarsi, una sensazione di appartenenza in grado di sollevare l’essere umano dai dubbi della sua solitudine.
Però per fare ciò ci vogliono i mezzi, potere, tanto potere, e soldi, tanti soldi, ma non importa perché alla fine quei manovratori otterranno moltiplicati il potere e i soldi, cavandoli in forma di oppressione o di sangue dalle loro entusiaste pedine. Lo scenario cambia sempre, ma gli attori rimangono sempre quelli, come pure la trama, con i poveracci che schiattano e i potenti che ingrassano. Lo spettacolo non prevede improvvisazioni o colpi di scena, il copione è già stato scritto migliaia di anni fa, e chi domina la scena deve dire la prima battuta, che poi è una singola vocale, anzi deve comprarla. Come ho già detto, solo chi può permetterselo può farlo, e per questo motivo sono e saranno sempre quelli che per i loro sporchi interessi fanno in maniera che il mondo sia eternamente in lotta con sé stesso.
La vocale che vogliono comprare è una semplice “o”. ma a loro basta e avanza, è sufficiente metterla davanti alla parola “dio” e il gioco è fatto, si scatena una guerra.

Gianografia n°42. – SPERIAMO IN UN METEORITE
Nei conflitti la religione è benzina gettata sul fuoco della ferocia. Ciò che si combatte non è più il nemico, ma è il diavolo stesso, e pertanto tutto il peggio è concesso.

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