Le verità di Pinocchio

Le verità di Pinocchio

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Giunto a casa di Pinocchio, il medico comprese perché fosse stato condotto quasi a forza fin lì e acconsentì a visitare il malato. Pulì col fazzoletto dei piccoli occhiali a mezzaluna, ne osservò in controluce la limpidezza delle lenti e quindi li inforcò con la stessa solennità che usavano gli antichi cavalieri quando abbassavano la visiera della celata prima del duello. S’avvicinò al letto e si chinò un poco verso Geppetto, gli guardò la lingua, l’occhio, la guancia, l’orecchio, poi un piede e un polpaccio che spuntavano dalla coperta, quindi con una mano gli sollevò un polso e con quell’altra estrasse un orologio d’argento dal taschino del panciotto. Fissò per un po’ il polso e poi l’orologio, poi di nuovo il polso e poi di nuovo l’orologio, quindi avvicinò quest’ultimo all’orecchio e s’accorse che era scarico. Borbottò qualcosa d’incomprensibile e lo caricò con estrema attenzione, per ripetere lo stesso esercizio di prima, però con un’espressione soddisfatta sul volto. Chiese a Geppetto di tossire, ma non ottenne che due colpetti spompati, fissò un punto lontano sulla parete di fronte a lui e alla fine sospirò. Sempre borbottando, che a quanto pare era il suo modo di parlare, li sommerse con una marea di altisonanti termini medici, di sintomi quanto mai rari ed estremamente sospetti, di modernissime cure e terapie applicate da illustri colleghi che negli anni non avevano mancato di consultarlo e che avevano seguito i suoi suggerimenti, stante la sua indiscussa competenza in tutti i rami della scienza medica.
Pinocchio intese tutto ma non capì nemmeno un’acca di quella dotta tiritera, né tanto meno ne avrebbe capito qualcosa una persona molto istruita. In tale guazzabuglio di parole, le uniche chiare e comprensibili furono: – Per la visita sono cinquanta soldi.
Pinocchio allora andò in cucina e, salito su una delle tante sedie che stavano a far polvere da mesi, prese un vasetto di latta posto sopra la credenza. Lì dentro c’erano i risparmi di Geppetto, ma altro denaro in casa non ce n’era. Scese dalla sedia per posare il vasetto sul ripiano del tavolo, sollevò il coperchio e cominciò a tirar fuori le monete una alla volta per fare, come aveva imparato a scuola, la somma di cinquanta soldi. Sulle prime pensò di essersi sbagliato perché, arrivato a cinquanta, sul fondo di latta non era rimasta che qualche moneta di rame, ma fatti e rifatti i conti si dovette persuadere che quasi tutti i risparmi del babbo se ne stavano per partire. Raccolte le monete, Pinocchio tornò di nella cameretta del babbo per darle al dottore, e quando quello le prese con un unico gesto egli rimase a fissare le sue manine rimaste aperte ma vuote come se avesse assistito a un gioco di prestigio.
Il dottore aprì la sua borsa, rovistò per un po’ all’interno e infine ne trasse un blocchetto di foglietti bianchi, bagnò con la punta della saliva un lapis e, dopo averci pensato su per più di qualche momento, scrisse qualcosa sulla carta, quindi staccò quel foglio dal blocchetto e lo porse a Geppetto. Dato che l’infermo non faceva nemmeno il gesto di voler prendere quanto gli veniva consegnato, allora il medico si volse verso Pinocchio e gli affidò quel foglietto.
– Ecco, questa qui è la medicina.
– Grazie signor dottore, ma… mio padre, guarirà, vero?
– Non v’è dubbio. Posso assicurati, senza tema di essere smentito, che con questa medicina il malato che ho testé visitato guarirà in tempi brevissimi.
Detto ciò il medico fece per rimettersi in testa il cappello che non aveva, e allora, per ripiego, si tirò giù le maniche della camicia e le punte del panciotto, s’aggiustò il colletto inamidato, prese su la sua borsa, tossicchiò un saluto e con molto sussiego uscì, lasciando la porta aperta.
Pinocchio guardò con attenzione quel foglietto di carta che, a quanto aveva capito, era la “medicina”, chiedendosi se bollirlo prima di darlo al babbo o se andasse mangiato a pezzettini, oppure se andasse infilato sotto al guanciale o appoggiato sopra le gambe malate. Avrebbe preferito che il dottore gli avesse messo in mano una polverina da sciogliere in mezzo bicchiere d’acqua.
– Si vede che i tempi son cambiati, e i rimedi della Fata non s’usano più…
Così, nel dubbio, chiese al babbo come lui preferisse mangiare quel foglietto di carta.
A sentire la domanda, Geppetto, nonostante i dolori e la debolezza, riuscì anche a ridere. Fece avvicinare Pinocchio e gli spiegò che quella era la “ricetta”, un pezzo di carta dove c’erano scritte le istruzioni per il farmacista.
– Babbo, ma qui non c’è scritto niente, ci sono solo degli scarabocchi.
– È così che scrivono i dottori.
– Però a scuola, se io scrivessi in questa maniera, il maestro mi metterebbe in castigo e tutti mi prenderebbero in giro.
– Eh, caro Pinocchio, questo succederebbe nella tua di scuola, ma per scrivere in questa maniera servono delle scuole molto più importanti, quelle per i signori. Non aver paura, il farmacista capirà, anche lui ha studiato.
Geppetto allora gli spiegò dov’era la farmacia del paese, e già che c’era gli indicò il posto in cucina dove teneva i risparmi.
– Sai bimbo mio, le medicine costano, non le danno via per niente come la cicoria selvatica.
A sentire quell’ultima frase Pinocchio si rabbuiò, ma non disse nulla al babbo per non aggiungere altre angustie alla pena della sua malattia.
Dato che era quasi scesa la sera, ragionarono che sarebbe stato meglio andare in farmacia il mattino seguente. E così, dopo aver scaldato lo stomaco con un brodino di zampe di gallina, si confortarono a vicenda e andarono a dormire, tanto l’indomani, con la medicina, tutto sarebbe tornato a posto.

 

Continua…

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