Contagio

Racconto

Insomma, c’è questa persona che mi fa: – ma perché non scrivi un racconto di fantascienza?
La domanda non era stata buttata lì a caso giacché si parlava di quando, anni addietro, mi interessavano quei testi futuribili, dei quali conservo ancora una buona memoria. Sapendo inoltre che mi dilettavo a pubblicare ogni tanto dei racconti piuttosto bizzarri, gli venne naturale chiedermi come mai non affrontassi quel tipo di letteratura.
Temo di non ricordare come riuscii allora a giustificarmi, però so per certo che non gli dissi la verità, e mi chiedo che faccia avrebbe fatto se gliela avessi rivelata, così, senza preavviso, ovvero quale sarebbe stata la sua reazione: propendo per l’incredulità. Il fatto è che mi sarebbe difficile, se non impossibile, scrivere della fantascienza abbastanza comprensibile, e non a causa delle mie scarse capacità letterarie, o almeno non solamente per questo motivo, ma per la mancanza di un territorio comune tra voi e me.
Cominciamo col dire che da dove vengo io il temine “fantascienza” non ha molto significato, ovvero c’è chi prospetta dei futuri ipotetici, ma per determinarne le peculiarità ha il dovere di coniugare l’immaginazione con una solida base scientifica, ossia il tutto dev’essere dimostrabile al pari di un teorema matematico.

Persino la letteratura, dopo secoli di parole stese con fatica e lette con avidità, ha perso il suo fascino e viene considerata più che inattuale, assolutamente inattuabile, un puro esercizio mentale al quale si applicano pochissimi eccentrici, tra l’altro visti con sospetto.
Vi starete chiedendo da quale remoto angolo di universo io provenga e dove sia in vigore tale gretto regime che inaridisce i fiumi di parole scritte, che tiene da conto solamente la fredda tecnica, che costringe in catene le menti del popolo e vieta ogni lettura della realtà non conforme a quella tangibile. Condivido le vostre perplessità, giacché anche i peggiori dittatori si servono sempre di miti e leggende, di promesse e utopie, di profeti e predicatori, di sogni e incubi, e di tutti quei sistemi in grado di far distogliere lo sguardo dei loro sudditi dalle miserie della vita reale.
In verità il mio paese non è poi così lontano da essere pressoché sconosciuto, è assolutamente sconosciuto perché ancora non esiste, perciò, anche volendo descriverlo, mi è difficile tratteggiarvene un profilo comprensibile, tanto più se mi si chiede di immaginare un suo aspetto futuro.
Cerco di spiegarmi, magari chiedendo aiuto proprio alla fantascienza.
È da poco più di un secolo che hanno trovato larga diffusione dei testi che offrono al pubblico la possibilità di immaginare viaggi spaziali, esseri alieni e futuri più o meno improbabili. Però, come avrebbero reagito i lettori di Verne se egli avesse inserito nei suoi racconti vicende che trattavano la fusione nucleare, l’antimateria, l’informatica, l’effetto serra, i buchi neri, le onde gravitazionali e altro ancora? Con tutta probabilità oggi verrebbe considerato un mirabile visionario, ma all’epoca sarebbe stato preso per pazzo e avrebbe patito la fame. Questo solamente centocinquant’anni fa.
Ecco, casa mia non è troppo distante da casa vostra, poco più di tre secoli da ora, quindi…
A quei pochi che, dopo la riga precedente, non hanno smesso immediatamente di leggere fornirò alcuni dettagli, i quali, anche se perfettamente inutili dal punto di vista pratico, spiegheranno qualcosa di me. In primo luogo io non sono un uomo del futuro, io provengo dal futuro, questo è vero, però sono un uomo del presente, devo esserlo altrimenti la mia esistenza non avrebbe senso.
La seconda faccenda riguarda la possibilità che sia stato inviato qui per agire in qualche modo sugli eventi, per interferire, per modificare quella che amate definire la “linea temporale”. Mi spiace, ma non avete nemmeno idea di quanto voi siate ancora distanti dalla comprensione della verità. Volendo farla semplice mi limiterò a dirvi che, per quanto mi riguarda, il futuro è già scritto, nel senso che ciò che appare nel ventiquattresimo secolo deve la sua esistenza a tutto quello che avviene adesso. Anche il fatto che io abbia scritto questo breve testo e che qualcuno lo stia leggendo, nonostante possa apparire sconvolgente, non sconvolge quel futuro, semmai lo conferma. Quindi non abbiate timore, vengo in pace.
Ci sarebbe poi la questione di mie ipotetiche rivelazioni circa la tecnologia del futuro, sicuramente più avanzata di quella attuale, ma anche in questo caso mi duole deludervi. Pur soprassedendo all’estrema difficoltà di comprenderne i principi per attuarne una rozza imitazione, molti aspetti di quanto viene realizzato nel ventiquattresimo secolo non troverebbero oggi applicazioni pratiche, convenienti e determinanti. In ogni modo permane un ostacolo insormontabile a un ipotetico trasferimento di conoscenze scientifiche, cioè io stesso, e non perché sia vincolato al segreto, giacché anche rivelando qualcosa non farei che confermare il futuro, bensì perché di tecnica non so quasi nulla.
È ora che ve lo dica, io sono uno storico.
Suppongo che a voi possa sembrare strano che uno studioso, seppure di una disciplina umanistica, ignori del tutto le basi tecniche più semplici di quanto lo circonda, ma, almeno da dove vengo io, così è.
So bene che, tranne rari e sfortunati casi, la conoscenza dell’attuale tecnologia è diffusa almeno per sommi capi, a diversi livelli di comprensione, e che se uno storico preme un interruttore per accendere una lampadina egli è ben cosciente dell’esistenza di una centrale elettrica, di come l’energia possa venir prodotta, trasportata e trasformata. Questa è oggi una condizione plausibile perché avete tempo e modo per apprendere, per ricordare, o anche solo per discorrerne amabilmente.
Allora posso, anzi devo rivelarvi qualcosa del futuro. Sapete quanti abitanti ha il pianeta nel ventiquattresimo secolo? Circa ottanta milioni.
Sembra una cosa impossibile da credersi, ma purtroppo è vera. Per inciso, finora ho usato la vostra vecchia datazione, quando in realtà ho lasciato il mio mondo nell’anno 174. Questo perché, quasi sopraffatti dal caos generale, fummo costretti a fissare il nuovo anno zero, ossia la data nella quale gli ultimi sopravvissuti si accordarono per la disattivazione di tutte le armi e per la smobilitazione generale. Purtroppo vi aspettano decenni di guerre devastanti e di terribili carestie, anche se bisognerebbe essere ciechi e sordi per non avvertirne già oggi i segnali premonitori; alla fine ne siamo usciti, in pochi, piagati da ferite che stentavano a guarire, ma abbiamo superato quella tempesta, e la totalità delle risorse ancora disponibili sono state rivolte al recupero di quei brandelli di territorio non completamente contaminato, avvalendoci di tutte le conoscenze scientifiche in grado di garantire un’esistenza degna al genere umano, o almeno di quello che ne era rimasto.
Da quel nuovo anno zero abbiamo fatto molti progressi; la popolazione è in lenta ma costante crescita nonostante i gravi problemi di infertilità che ci affliggono; la tecnologia che era servita per produrre strumenti di morte è stata riconfigurata per produrre strumenti di vita, nelle costruzioni, nella medicina, nell’agricoltura, nel controllo ambientale; nessuno osa più nominare religioni, confini, razze, o altre distinzioni artificiose, pena l’isolamento sociale e la perdita di tutti i benefici morali e materiali.
In un secolo e mezzo, tenuto conto delle scarse risorse a disposizione, abbiamo comunque raggiunto un livello di qualità della vita più che soddisfacente, soprattutto grazie all’automazione di una parte dei processi produttivi e di controllo. Tutto ciò pretende però delle competenze molto avanzate, sia per lo studio che per la gestione di sistemi complessi, e più di tutto, fin da giovanissimi, esige l’applicazione a un preciso settore professionale che non ha uguali nel vostro tempo. Io provengo da un mondo di specialisti estremi, insuperabili nel loro campo, zelanti oltre ogni misura e senza alcuna possibilità di applicarsi ad altro. Le capacità ci sarebbero, ne sono certo, però manca il tempo.
Vi starete chiedendo a cosa serva allora uno storico in un’organizzazione sociale che ha fame di funzionalità e di scienza, tanto più se è uno storico che non sa fare altro. La risposta sta nella mia presenza qui e ora.
Nel caos del ventunesimo e ventiduesimo secolo non sono state solamente perdute miliardi di vite, senza contare la maggior parte della superficie abitabile del pianeta, ma è stato distrutto, disperso, cancellato lo scibile umano, tranne le parti che, ovviamente, tornavano utili per ogni forma di sopraffazione. In buona sostanza siamo quasi del tutto ignari del passato.
Per esempio, pur applicando alla perfezione le leggi della fisica ignoriamo il nome di chi le ha scoperte, oppure osservando una vecchia immagine non siamo in grado di localizzarla, di datarla e di comprendere il significato. Più di qualcuno ritiene superflue quelle conoscenze, quasi fossero un lusso che non ci possiamo permettere, però i pochi che decidono di iniziare lo studio della storia sono convinti che continuare a ignorare il passato non faccia che sminuire gli sforzi che l’umanità compie per non soccombere, e che inoltre sia pericoloso non indagare sulle cause che ci hanno quasi condotto all’estinzione. La loro convinzione in tal senso è così radicata da indurli ad accettare anche il più estremo dei sacrifici, e costoro pongono sull’altare della conoscenza ciò che hanno di più prezioso: la vita stessa.
Ho già spiegato i motivi per i quali ogni essere umano è uno specialista assoluto, costretto a riversare la maggior parte delle sue energie entro i confini della branca di applicazione alla quale è stato destinato dalla società. Noi storici abbiamo fatto di più, ci siamo resi disponibili a dedicare radicalmente la vita, l’intera vita, allo studio del nostro passato, e per riuscire a farlo abbiamo accettato l’eventualità di dover abbandonare il nostro presente per sempre.
Ormai vi sarà chiaro che, affermando io di provenire dal “vostro” ventiquattresimo secolo, dev’essere stato scoperto un sistema per spostarsi nel tempo, e ciò effettivamente avviene, anche se con significative limitazioni.
Non chiedetemi come funziona, non ne so nulla, e, a dirla tutta, ho sempre preferito non sapere nulla dato che quella tecnologia è ancora abbastanza sperimentale e non esente da rischi. Allo stato attuale il verso è uno solo, ossia verso il passato, e tutti i tentativi nel verso contrario hanno sortito esiti catastrofici. In buona sostanza si tratta di una sorta di nassa nella quale è relativamente facile entrare, ma dalla quale è impossibile scappare. Vedete bene che sono necessari un eccezionale spirito di sacrificio e una certa dose di incoscienza per affrontare un tale distacco definitivo, per accettare di essere gettati come cavie solitarie su un pianeta, per noi, alieno.
Come tutti i pionieri e gli esploratori, anche gli storici possono vantare le loro vittime, le prime a causa di guasti delle apparecchiature, e poi le altre per qualche malaugurato accidente nel passato. Io sono tra i più fortunati essendo riuscito ad accumulare un considerevole numero di anni di vita nel vostro tempo presente, ma gli storici destinati ai decenni o ai secoli precedenti sono andati incontro a rischi che non erano né prevedibili e né evitabili.
Dovete sapere che, nonostante noi si venga sottoposti a una capillare profilassi, la migliore che la nostra scienza medica può garantire, non è rara l’eventualità che il nostro organismo sia sprovvisto degli anticorpi naturali che si formavano nel passato, con gravi implicazioni sullo stato di salute dello storico, tanto più pericolose quanto più indietro si torna, in epoche nelle quali le malattie erano affrontate con misure dall’esito aleatorio. Anch’io, pur essendo stato favorito dalla sorte, mi trovo talvolta a disagio quando vengo trattato mediante metodologie mediche che avverto come sorpassate, e non mi resta altro che sperare nella buona sorte.
Dato che la quantità di dati raccolti è direttamente proporzionale alla lunghezza della vita dello storico, ogni morte prematura è un fallimento, perciò è stato deciso di limitare la ricerca entro i due secoli precedenti al vostro, e inoltre vengono quasi sempre selezionati degli storici di sesso maschile. Badate bene, quest’ultima limitazione non è dettata da settarismo di genere, in quanto nel futuro non esistono più tali ridicole distinzioni in ambito scientifico e professionale, ma sorge dall’esigenza di svolgere al meglio il compito dello dello storico, ossia quello di venire assimilato dal periodo in esame, di adottarne usi e costumi per non distinguersi, per diventare invisibile, per osservare senza essere osservati. Purtroppo è stato rilevato che le donne nel passato non avevano molta libertà d’azione, erano soggette a vessazioni di varia natura, i loro spostamenti erano limitati, spesso controllati, e inoltre erano esposte a pericoli maggiori a causa di complicazioni legate al parto, il che risultava controproducente per la riuscita dello studio.
Immagino che a questo punto qualcuno si starà chiedendo come noi si possa trasmettere le informazioni raccolte se ci è impossibile tornare al nostro tempo. La risposta è molto semplice: non lo facciamo.
Noi siamo solamente un’antenna ricevente; tutto quello che i nostri sensi provano viene memorizzato una microstruttura che ci è stata impiantata, ossia in qualcosa che oggi verrebbe definito un chip organico infinitamente più avanzato e versatile dei più potenti microprocessori al silicio; esso appare come un innocuo difetto del cuoio capelluto ed è destinato a degradarsi dopo la morte del soggetto. Le informazioni che registra vengono periodicamente trasmesse a uno o più ricevitori sparsi sul pianeta, i quali sono stati sottoposti allo stesso scostamento temporale che ha affrontato lo storico, e il loro aspetto è del tutto insignificante, ossia dentro e fuori sembrano delle comuni pietre che si possono tenere in mano, ma sono dotati di un’autonomia di cinquecento anni e di un segnale per essere ritrovati. Il giorno successivo al mio invio nel passato quei ricevitori verranno individuati e recuperati, quindi ne verranno estratti i dati, in buona sostanza tutta la mia vita qui, ciò che ho visto, sentito, letto, imparato, provato, capito, e anche non capito.
Mi è già successo di assistere a quella fase e ho potuto collaborare alla traduzione dei dati in un contesto interpretabile. Ogni volta sono state esperienze emozionanti e, nonostante le difficoltà nelle quali noi ci dibattiamo, compatisco gli storici di un tempo, studiosi che erano costretti ad affidarsi a fonti non sempre attendibili. Conoscendo alcuni periodi del passato come se li avessimo vissuti, mi sento di affermare che la maggior parte dei vostri testi sono abbastanza approssimativi, infarciti di grossolane inesattezze, e in più di qualche caso smaccatamente mistificatori.
Per uno storico la possibilità di assistere di persona agli eventi del passato è una situazione invidiabile, però vi posso assicurare che questo privilegio noi lo paghiamo a caro prezzo. Nonostante siano relativamente pochi coloro che scelgono il mio percorso di studi, la selezione per poter accedere alla possibilità di infrangere la barriera del tempo è comunque severissima, e la preparazione lo è altrettanto poiché sono necessarie eccezionali doti di adattamento, sia mentali che fisiche.
Il fatto che io sia qui è frutto del caso, devo tutto al fortunato ritrovamento di alcuni filmati che siamo riusciti a datare e localizzare, ovviamente dopo un accurato restauro e una paziente ricerca di un sistema per poterli visualizzare. A quanto ricordo, gli esperti di transcomunicazione manifestarono una sincera ammirazione per l’ingegnosità di quell’antica tecnologia, meravigliosamente efficace a dispetto delle difficoltà dettate dall’uso di un limitato sistema di calcolo binario o qualcosa del genere. Più di qualcuno espresse il dubbio che noi si sapesse fare altrettanto.
Fin dall’inizio partecipai alla decifrazione di quella lingua estinta, un’operazione che solamente uno storico riesce a fare, e dopo un attento esame di valutazione, pur essendo io ancora giovanissimo, mi fu concesso anche di impararla.
Posso immaginare che a voi sembri assurdo mantenere separati la comprensione di un idioma dall’apprendimento dello stesso, giacché nella vostra epoca sono processi pressoché simultanei. Invece nel mio tempo le cose vanno diversamente: uno storico prima acquisisce tutte le informazioni di una lingua, la struttura, la terminologia, le regole e le eccezioni, quindi ne assimila i suoni e le cadenze, e infine impara a parlare, l’operazione più difficile di tutte poiché sono ormai tre generazioni che nessuno più comunica con la voce.
Tutto deriva da un’applicazione militare dell’ultimo conflitto, quando vennero sperimentate delle armi comandate da impulsi telepatici, e, com’è accaduto per altri strumenti di guerra, quella rozza tecnologia è stata successivamente perfezionata ed è arrivata infine a sostituire ogni altro metodo di connessione interpersonale. Alcuni innesti cerebrali, presenti fin dal primo anno di vita, ci consentono di “parlare” con gli altri senza emettere suoni. L’intensità, il timbro, il tono, sono sempre distinguibili, personali, ma la differenza sostanziale è che non vi è possibilità di incomprensione, in quanto al posto di termini più o meno significativi passano i concetti. Conservo ancora una vaga memoria dell’effetto, cioè avevo la sensazione di parlare, la stessa che avverto oggi, ma gli innesti intercettavano gli impulsi del cervello e li dirottavano, suppongo verso un sistema di comunicazione bioelettronico. Di più non so dirvi, io sono un storico, vi prego di non dimenticarlo, comunque vi sarete resi conto che in quel contesto ogni forma di espressione letteraria è più che antiquata, è morta e sepolta.
La prima cosa che fanno ai “fortunati” che sono destinati al trasferimento nel passato è asportare quella rete di innesti, e non è divertente ritrovarsi completamente impossibilitati a comprendere ogni forma di comunicazione, poiché anche per dialogare con l’interfaccia tecnologica si utilizza un metodo similare. Per riuscire a superare un tale trauma sono appunto indispensabili quelle eccezionali doti di adattamento di cui parlavo sopra. Anche se venisse trovata la maniera di ritornare “avanti” nel tempo, il malcapitato resterebbe comunque isolato dal suo mondo in quanto non sarebbe più possibile procedere all’impianto degli innesti, perciò la nostra scelta è irreversibile, è una separazione definitiva, è, come dicevo, il sacrificio più grande. Del resto preferiamo non rischiare che un banale esame medico riveli quelle componenti anacronistiche e ci tradisca, quindi non basta disattivarle, è indispensabile la loro completa rimozione.
Mi ci volle un anno intero, un anno di sofferenza, per adattare alcune parti del mio corpo alle funzioni richieste dalla parola; subii varie operazioni per ripristinare le zone atrofizzate; lottai per riuscire a sincronizzare il tutto, polmoni, laringe, lingua, labbra, per ottenere dei suoni inarticolati, poi le vocali, le consonanti, una parola, una frase intera, un discorso. Infine diedi l’addio al mio mondo, venni sedato e mi risvegliai qui, vestito in maniera approssimativa, ma fornito di una quantità di polvere d’oro sufficiente a risolvere i problemi iniziali, come, per esempio, comprarmi un’identità e un passato, parenti compresi.
Il resto venne da solo, imparai un mestiere, trovai un lavoro, mi feci una famiglia, e oggi posso finalmente guardarmi indietro per gustare l’intima soddisfazione di aver fatto al meglio il mio dovere.
All’inizio ho voluto precisare che, anche se provengo dal futuro, io sono ormai un uomo del presente, ho vissuto qui molti più anni di quanti ne abbia vissuti nel ventiquattresimo secolo, e ciò mi ha cambiato radicalmente. Già il fatto che io provi un sentimento di soddisfazione dà il segno di quanto io mi sia adeguato alla psicologia di questo periodo temporale. Quella e altre emozioni sono molto rarefatte nel “mio” 174, dove ragionevolezza e metodo hanno dato lo sfratto alle passioni, queste ultime considerate, non a torto, i semi velenosi che hanno diffuso nel passato la malapianta della discordia, del fanatismo e della guerra. Nel mio mondo nessuno invidia nessuno e nessuno si congratula con nessuno, anche perché nessuno va in cerca di particolari riconoscimenti; tutti fanno quello che devono fare senza compiacersi minimamente della loro opera.
Proprio questa mia intima deviazione, la definirei un contagio psicologico, sarà il regalo speciale per chi leggerà i dati che ho accumulato, poiché io non mi sono limitato alla funzione di fedele osservatore, bensì mi sono donato totalmente a questo tempo, perciò trasmetterò loro anche le sensazioni, le gioie, le paure, gli aneliti di un uomo degli anni a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo.
Dicono che regalare sia fonte di felicità, e per me ciò è più vero di quanto si pensi. Nonostante io non sia stato preparato a questa eventualità, ho quasi subito trovato affascinante la furia selvaggia con la quale vivete la vita: il caos di eventi scoordinati non vi disturba, non vi smarrite in questa babele di culture diverse e incompatibili, amate le abitudini malsane, quasi odiate il vostro corpo, l’indifferenza e la commozione si alternano come le onde del mare, bramate la distruzione a tal punto che la considerate una promessa, ne auspicate l’avvento e nel contempo avete paura di tutto, dell’altro, del dolore, della morte, e perciò, sopra ogni cosa, vi domina una spasmodica ricerca di gioia, anche effimera, anche fasulla, anche insignificante, una goccia d’acqua per un dannato dell’Inferno.
Vi sono grato per avermi accolto, anche se a vostra insaputa, e per avermi concesso fare mie quelle sensazioni, un’eventualità impossibile nel mio mondo di allora. Ho sì compreso come storico le cause delle tragedie che verranno, ma di più ho compreso come uomo cosa comporti una vita incerta, quell’altalena sulla quale mi sono dondolato per decenni e dalla quale sarò presto costretto a scendere, provando, a conferma della mia riscoperta e antica umanità, riluttanza a farlo.
Mi si potrebbe chiedere perché ho scritto ciò che ho scritto, dato che, a quanto affermo, niente può modificare il prossimo futuro. In verità potrebbe trattarsi di un veniale peccato d’orgoglio, oppure di uno scherzo che mi andava di fare a voi o a chi estrarrà i miei dati nel futuro, e chi lo sa.
Ci sarebbe poi l’elevata probabilità che queste righe vengano considerate pura fantasia, pardon, fantascienza, o nel peggiore dei casi i vaneggiamenti di un perditempo. Sappiate che ha poca importanza che ci crediate o meno, niente cambierà la vostra vita, e per quel che mi riguarda, come disse quel personaggio del film “Via col vento”, francamente me ne infischio.
Lasciatemi dire ancora una parola.
Quando ripenso a com’ero quando capitai qui e a come invece sono oggi, dopo una vita primitiva e travolgente, dopo aver assaporato il sale delle lacrime e il calore del sangue, dopo aver misurato i confini della conoscenza e i deserti dell’ignoranza, dopo aver compreso i motivi della disfatta pur sperando sempre di sbagliarmi, ne concludo che non posso che essere grato per i doni della vostra esistenza, per la gioia e per il dolore, per l’amore e per l’odio, per le illusioni e per le delusioni. Perciò io mi rivolgo a voi come un vecchio che desidera offrire il suo perdono e un po’ di conforto a un malato terminale, senza più finzioni ma con un’ultima ingenua tenerezza: sappiate che vi ho sempre voluto bene.

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