Via Gluck

Quarantacinque giri, chi era costui?
Posso comprendere come nell’era del formato musicale MP3 e dell’archiviazione nel cloud, una puntina di quarzo e un solco nel vinile siano equivalenti alle iscrizioni cuneiformi su tavoletta d’argilla di sumera memoria, quindi non mi attendo che troppe persone ricordino quel disco uscito nel 1966 con la canzone “Il ragazzo della via Gluck”.
Però non è di musica che voglio trattare oggi, bensì del problema che quel brano voleva mettere in luce, e soprattutto vorrei aggiungere la mia personale testimonianza al riguardo.
In quegli anni non me ne rendevo conto, troppo giovane, troppo abbagliato dalla vita, troppo facile da imbrogliare, e gli effetti del miracolo economico avevano l’aura di una benedizione divina, o più laicamente rappresentavano i meravigliosi doni della cornucopia del sorgente consumismo. Erano doni avvelenati, e qualcuno l’aveva già capito, perciò, come Lacoonte fece con i suoi concittadini, tentò di metterci sull’avviso, anche lui purtroppo inutilmente. Di lì a qualche anno i lavoratori avrebbero barattato la loro anima per un piatto di lenticchie e un’utilitaria comprata a rate.
La città di Trieste all’epoca contava circa 280.000 abitanti e consisteva in un centro abbastanza urbanizzato più alcune frazioni carsiche, oltre a dei rioni relativamente separati dal centro che riportavano il nome degli antichi borghi.
Abitavo in periferia, in un rione antico e popoloso, e ricordo che a meno di un chilometro da casa mia, c’erano prati, vigne, frutteti, orti, persino campi di grano, perciò niente di strano se di domenica fare una scampagnata era semplicissimo, anche e soprattutto senza automobile.
Mi va di precisare che quella cintura abitativa attorno alla città non aveva nulla a che fare con quelle che il neorealismo aveva portato sullo schermo, erano assenti degrado e desolazione, e non solo per la possibilità di passare accanto alle antiche residenze estive che i benestanti di Trieste avevano costruito durante i bei tempi dell’impero austro-ungarico, ma anche perché una residuale mentalità mitteleuropea imponeva pur nella ristrettezza di mezzi il mantenimento di un certo decoro sociale ed estetico.
Ei fu, intendo quel panorama urbano.
Oggi la città conta solamente 200.000 abitanti, ovvero quasi il 30% in meno, eppure l’urbanizzazione s’è mangiata tutto quel territorio verde. Orribili groppi di condomini, grigi come la cenere e brutti come termitai, sono sorti qua e là, scacciando come fanno le piante infestanti tutto quello che era piccolo, vario, umano. Schiere di palazzine hanno invaso la periferia, tutte in ordine e in file compatte, dimore di genti ordinarie use a vivere ben allineate. Ridondanti centri commerciali si sono posati su ogni spazio pianeggiante disponibile, insaziabili ventri commerciali che ingoiano carne umana e cagano prodotti di dubbia qualità. E una marea di insetti, scarafaggi di latta e plastica che tutto insozzano con emissioni flatulente, con presenza ingombrante, con tracotanza, con pacchiana ostentazione, con aggressività, con insensatezza, tutto pur di non utilizzare il trasporto pubblico. Che anche quello poi, non è che brilli per efficienza, ossia segue fedelmente il principio del massimo sforzo per il minimo rendimento. Per deferenza verso il trasporto su gomma e il gasolio, molti anni fa sparirono i tram e i filobus, dando così campo libero ai fumiganti autobus del gruppo FIAT. Si potrebbe pensare che l’assenza di infrastrutture necessarie alla trazione elettrica abbia migliorato i collegamenti con la cintura periferica e le frazioni carsiche, ma così non è. In buona sostanza il centro cittadino è ingolfato di mezzi pubblici con linee che si sovrappongono, si intralciano, si duplicano, si rubano i passeggeri, mentre all’esterno di quel circo a tre piste la rarefazione è drammatica, con frazioni irraggiungibili o collegate sporadicamente, e mezzi che spariscono nel nulla al calar del sole. Tutto è così inefficiente, inadeguato e inefficace da risultare inutilizzabile, e il solo quesito che mi pongo è se la rete sia stata studiata da un minus habens o se si voglia dissuadere gli utenti periferici dall’usare il trasporto pubblico. In questo secondo caso direi che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto in quanto il flusso di auto, moto e ciclomotori dalla periferia al centro e ritorno è ininterrotto, cementando di conseguenza altri spazi per far posto ai mezzi di quei migranti urbani.
Così la città s’è allargata come un’ameba, e al pari di quella non ha un cervello ma solamente una tensione espansiva senza spessore sociale, un istinto che la spinge a bruciare ciò che i suoi confini toccano, un lunghissimo fronte del fuoco che dietro a sé lascia solamente i tizzoni anneriti di un passato da dimenticare quanto prima. Pur essendo la popolazione drasticamente diminuita, la superficie della città è quasi raddoppiata, e ciò, a prima vista, potrebbe risultare inspiegabile, quando invece i motivi sono abbastanza chiari. Se vi capitasse di scambiare quattro chiacchiere con un operatore di una qualsiasi agenzia immobiliare potreste scoprire che alcune zone del centro sono praticamente disabitate, e lo sono per vari motivi. Il primo è chiaramente l’avidità, quella di chi ha un appartamentino vuoto, inutilizzato, e chiede la cifra equivalente a un loft a Montecarlo. C’è chi poi se non intende disfarsene, lo tiene per i figli (che in realtà non hanno nessuna intenzione di andare a vivere lì) e per i nipoti (che non ci sono e non è detto che ci saranno). Così quando il proprietario schiatta inizia il balletto dell’eredità alla quale nessuno sembra voler rinunciare, manco si trattasse della Reggia di Versailles, e tutto si impantana per anni.
Gli appartamenti restano vuoti anche perché il mondo degli affitti è per certi aspetti problematico. Il guazzabuglio di leggi del Codice Civile italiano non protegge con chiarezza e certezza sufficienti né i proprietari e né gli affittuari, e nemmeno esistono strumenti adeguati per “filtrare” chi chiede e chi offre prima del contratto di locazione, perciò spesso si preferisce non rischiare.
Inoltre è noto che in mancanza di consistenti risorse economiche si va in cerca del prezzo migliore, e non penso di rivelare il Terzo Segreto di Fatima quando affermo che andando in periferia si può risparmiare parecchio, e inoltre l’inquinamento atmosferico e acustico è spesso uno dei motivi della fuga dal centro, un centro al quale prima o poi si torna, in automobile ovviamente, per lavoro o per motivi vari, visto che in quei quartieri dormitorio manca tutto.
Il cerchio si chiude, con un centro schizofrenico, buono solo per i turisti che sono beatamente ignari dello scempio al quale stanno assistendo, per una pletora di istituti bancari e assicurativi che vantano una potenza economica in realtà volatile, per chi non ha mai messo il naso fuori dalle Alpi e pertanto è convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili, e per chi non ha gusto, cultura, memoria e sentimento.
Auguri a tutti loro, perché andando avanti così verrà il momento in cui non basteranno più in città una leggera camicia di lino, un prosecchino, un gelato, un pinguino per rinfrescarsi, e allora un boschetto per stare un po’ all’ombra sarà un miraggio.

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