21 marzo – Giornata della poesia

In questa giornata avrei pensato di proporre un testo pescato dal vecchio mio libro “Nove eresie più una fiaba”.  Per la precisione si tratta di un’antologia di racconti scritti durante un amplissimo arco temporale (dai tempi di MySpace, tanto per intenderci) e che trattano un argomento abbastanza inflazionato: Dio.
Come già si evince dal titolo, il soggetto è stato abbordato con un approccio assolutamente antidogmatico, perciò, qualche secolo fa, niente e nessuno avrebbe potuto salvarmi dall’ardente fine riservata agli eretici.
Quella che riporto qui sotto è invece la fiaba.
Un piccolo inciso: nel libro le eresie sono nove, di numero ma anche di fatto, nel senso che nella mia madrelingua indicano appunto una novità.

 

Prefazione

Più di ventisei secoli ci dividono dal mondo nel quale nacquero le fiabe di Esopo. Purtroppo di lui si sa poco, dubbia l’origine, dubbia la sua fine, e persino dubbia la paternità di alcune delle sue storie; potrebbe darsi che in quei tempi lontani qualsiasi racconto breve che avesse per protagonisti degli animali venisse identificato come una fiaba di Esopo, una sorta di genere letterario avanti lettera.
Sono abbastanza certo che vi sarà già capitato di imbattervi in qualcuna delle sue edificanti storie, e che per la maggior parte di voi quelle fiabe siano ancora associate a un ben determinato periodo della vostra vita; probabilmente stanno facendo compagnia a Cappuccetto Rosso, a Cenerentola, al Gatto con gli stivali, e ad Hänsel e Gretel. Niente di strano o di sbagliato in tutto ciò, quel che invece mi pare strano è il confinamento nel mondo infantile delle fiabe di Esopo. Egli, o chi per lui, parla agli adulti, e la morale che conclude quasi ogni suo racconto è sì pedagogica, ma anche garbatamente filosofica, una sorta di monito.
La fauna delle sue fiabe aveva ben poco dell’animalesco, quel tanto che basta per riconoscere alcuni tratti caratteristici dell’animo umano, ma di tali caratteristiche si persero le tracce nei secoli bui, un periodo durante il quale gli animali tornarono bestie senza alcun diritto di parola, se non quella che rappresentasse il maligno. Solamente a partire dal Rinascimento l’uomo ricominciò a intravedere una parte di sé nei suoi compagni di viaggio, e oggi siamo giunti all’eccesso opposto, ovvero all’antropomorfizzazione esasperata di ogni specie animale, e non solo.
Tornando a Esopo, suppongo che tra le sue fiabe più note ci sia quella della formica e della cicala, parabola esaltante dei vantaggi offerti da una vita laboriosa rispetto a una gaudente. Vi confesso che, per intima indole, la mia simpatia è sempre andata verso quella sventurata di cicala morta di stenti, mentre immaginavo per la solerte formica intenta ad accumulare viveri per l’inverno, un chicco di grano alla volta, la triste sorte di venire accidentalmente calpestata durante un pomeriggio di fine settembre. Per il mondo le conseguenze di quei tristi eventi sono minime, quasi ininfluenti, ma per quei due esserini rappresentano l’apocalisse, e allora io mi sono figurato quello che i media contemporanei definiscono un “sequel”, e spero che Esopo, ovunque egli si trovi ora, abbia pietà di me.

 

Dio c’è (per tutti)

La formica morì.
Non si sa come fu; semplicemente accadde, com’è nella natura delle cose.
Terminata appunto la sua esistenza naturale, la formica ebbe finalmente accesso all’essenza soprannaturale, e così si ritrovò al cospetto di Dio.
– TU SEI LA FORMICA.
– È vero, mio unico Dio.
– COME TI SEI COMPORTATA IN VITA? BADA DI NON MENTIRE!
Il minuscolo cervello dell’insetto non si scompose di fronte all’assurdità di quella domanda; Dio era onnisciente, e pertanto quell’interrogatorio le sarebbe dovuto sembrare superfluo, e né tanto meno fu sfiorata dalla tentazione di raccontare delle menzogne, un processo mentale troppo sofisticato per lei.
– Io mi sono comportata come si deve, rettamente, con virtù e operosità.
– SÌ?
– Sì. Ho sempre lavorato per il benessere della colonia.
– BENE.
– Ho fedelmente osservato le sue leggi, quelle stabilite dall’unico Dio.
– BENISSIMO.
– Ho scavato gallerie, ho raccolto il cibo per la nostra regina, ho protetto le nostre uova, ho nutrito le nostre larve.
– OTTIMO, E POI?
– Ho difeso la nostra colonia contro tutti i nemici, distruggendoli senza pietà.
– AH.
– Ho lavorato affinché la nostra colonia crescesse, ogni giorno di più, per la nostra potenza e per la gloria di Dio.
– ECCO…
– Perché la nostra colonia è predestinata a coprire tutto il mondo, come detta la legge di Dio.
– PUÒ BASTARE. BRAVA, TI SEI COMPORTATA BENE. ENTRA DUNQUE, SARAI PER SEMPRE UNA FORMICA DEL PARADISO.
– Grazie, mio unico Dio. È per questo che ho vissuto sempre con rettitudine, perciò penso di essermi meritata il Paradiso.
– È GIUSTO.

Pausa

La cicala morì.
Si sa benissimo come fu; era un plumbeo giorno di ottobre, soffiava un gran vento che portava con sé violente e gelide gocce di pioggia. Alla cicala dapprima si spezzarono le ali, poi una brusca raffica la strappò dalla corteccia dell’albero dove aveva cercato rifugio, la fece ruzzolare fin dentro una pozza d’acqua fangosa, e lì annegò.
Anche per lei venne il momento di presentarsi dinnanzi a Dio per essere giudicata.
– TU SEI LA CICALA.
– Sì.
– COME TI SEI COMPORTATA IN VITA?
– Ah, perché adesso sono morta?
– LO SEI.
– Che peccato…
– ALLORA DIMMI, COME HAI CONDOTTO LA TUA VITA, BENE?
– Non saprei, non ne sono sicura.
– RACCONTA, E NON TRALASCIARE NULLA. GIUDICHERÒ IO.
– Beh, non ho combinato un granché.
– SENTIAMO.
– Ho vissuto per anni sottoterra, nutrendomi di quel poco che trovavo. Però sempre al riparo, dal maltempo e dai nemici.
– ANCHE TU DOVEVI DIFENDERE IL TUO TERRITORIO?
– No, no, per carità. Appena sentivo una vibrazione mi facevo piccola piccola, restavo zitta e ferma sperando che non fosse una talpa.
– NON POTEVI PREGARE CHE IO TI SALVASSI?
– E chi sapeva niente allora. Ero sola, al buio, sempre in cerca di cibo.
– MA POI SEI USCITA…
– Sì, questo è vero, ma non ricordo il perché, forse mi ero stufata di quella vita, e speravo che ci fosse dell’altro.
– VAI AVANTI.
– Fu una sorpresa: tutte quelle forme, quei colori, quei suoni, e la luce, sempre diversa in ogni attimo della vita.
– BEH, MODESTAMENTE…
– Ma la sorpresa maggiore doveva ancora arrivare: dopo un po’ mi accorsi di possedere anche delle ali.
– BELLE VERO?
– Passarono la mosca, la farfalla, il moscerino, la zanzara, e mi derisero per la mia forma tozza. Mi dissero che non mi sarebbero servite a niente, che così grassa non avrei mai volato.
– AMMETTO CHE SIA DIFFICILE DA CREDERE…
– Allora ho pensato che, avendo le ali, almeno un tentativo dovevo farlo. Forse sarei caduta giù, nella polvere, tra la derisione generale, però non avrei avuto rimpianti.
– HAI VOLATO?
– Ho volato. Ho ammirato il mondo dall’alto, e ho visto prati punteggiati di fiori, argento nell’acqua dei torrenti, piume bianche levarsi dai pioppi, scoiattoli far festa sugli olmi, ciliege diventare mature, balestrucci nascosti sotto alle tegole, ondeggiare i pennacchi delle canne, e mille meraviglie, e ancora…
– MI PAR DI CAPIRE CHE TE LA SEI SPASSATA.
– … quando vedevo un ulivo andavo in cerca di una fessura sulla corteccia, e se ne usciva la linfa allora cantavo di gioia per quella prelibatezza. Avrei voluto un’altra cicala accanto a me, ma il più delle volte arrivavano la mosca, la farfalla, il moscerino e la zanzara, tutti quelli che il mio frinire aveva attirato. Allora non mi canzonavano più per il mio aspetto, e io lasciavo fare, tanto di linfa ce n’era in abbondanza.
– E POI?
– Io non pensavo mai al domani, non nascondevo scorte, gioivo e godevo come se l’inverno non dovesse arrivare, e invece, puntuale, è arrivato. Fui proprio una stolta…
– È VERO.
– Allora, posso entrare in Paradiso?
– NO, NON PUOI.
– Quanto mi dispiace. Ma dove…
– TU, PICCOLA CICALA, MI HAI RESO FIERO DEL CREATO, HAI DATO UN SENSO ALLE COSE, L’UNICO SENSO POSSIBILE, QUELLO DI GODERNE. A CHE GIOVA TUTTO UN UNIVERSO PIENO DI MERAVIGLIE E MISTERI SE QUESTO VIENE SEMPLICEMENTE “USATO”?
– Non capisco.
– CANTARE LE MIE LODI SENZA AVERE IL CORAGGIO DI GUARDARMI IN FACCIA È COSA DA SERVI. TU INVECE, ANCHE SENZA CONOSCERMI, NON HAI MAI SMESSO DI RINGRAZIARE PER CIÒ CHE TI VENIVA OFFERTO, ANCHE QUANDO DI RINGRAZIAMENTI NON VE N’ERA BISOGNO, PERCHÉ GIAMMAI UN GENITORE LI PRETENDEREBBE DAI FIGLI.
– E allora, io dove andrò?
– TORNERAI SULLA TERRA, CANTERAI DELLA GIOIA E DEL DOLORE, DELLA SPERANZA E DELLA RASSEGNAZIONE, DI CIÒ CHE VEDI E DI CIÒ CHE PROVI. CERCA DI NON TIRARTI INDIETRO, MAI, GIACCHÉ DI TAFANI FASTIDIOSI NON NE MANCHERANNO, E FARANNO DI TUTTO PER SCORAGGIARTI.
ORA TI LASCIO ANDARE, MA LA PROSSIMA VOLTA CHE CI VEDREMO TI CHIEDERÒ CONTO DI CIÒ CHE AVRAI DATO AL MONDO, E NON IMPORTA SE SOFFERTO O D’IMPULSO, BADA SOLAMENTE CHE SIA SINCERO.
A PRESTO, BEH, NON TANTO PRESTO.
– Allora… ciao.
Già. Fu proprio così che la cicala morì; e sulla Terra un poeta nacque.

 

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