Magra consolazione

In questo periodo di pandemia, mi è parso più che opportuno proporre una versione aggiornata di un mio vecchio racconto, un testo che, come al solito, è gradevole quanto una camminata sui ricci di mare.

MAGRA CONSOLAZIONE

È quasi notte. Unica fonte di luce in quella stanza è una lampada da scrivania, col suo fascio luminoso puntato su una cartella aperta, e col riflettore semitrasparente che diffonde una debole luminescenza verde smeraldo. Il resto della grande stanza, un ufficio da funzione direttiva, è in penombra.
Dietro alla spartana scrivania di quercia siede, su una poltrona girevole dall’alto schienale, una figura in uniforme, quindi un militare, e dev’essere di alto grado, almeno a giudicare dai tanti nastrini allineati sopra la tasca sinistra della giacca, metamedaglie che rimandano a sprazzi la luce di quella lampada solitaria. Egli tiene entrambe entrambe le mani aperte sui fogli che quella cartella contiene e guarda davanti a sé senza dar l’impressione di osservare qualcosa in particolare, qualcosa che comunque, in quel semibuio, non riuscirebbe a distinguere.

Sul fronte opposto della scrivania stanno due poltroncine di stile abbastanza moderno, quasi incongrue con la severità dell’ufficio, e sul bordo di una di quelle sta malamente seduto un altro uomo, per certo non un militare, altrimenti sarebbe stato anche lui in uniforme, e sarebbe rimasto in piedi oppure sistemato con rigida compostezza sul sedile. Quindi un borghese, e pure con una giacca abbastanza elegante, anche se bisognosa di una stiratura.
Altre persone non sono presenti in quella stanza, dato il colloquio è strettamente riservato.
– Finalmente l’abbiamo trovato – dice il militare, senza mettere in quella frase alcuna enfasi.
– Ah, meno male – risponde di rimando l’altro, riuscendo invece a esternare il suo sollievo in quelle sole tre parole.
– Meno male un accidente! – Ribatte il primo.
– Come sarebbe a dire? Almeno ora sappiamo…
– Appunto, e non c’è da stare allegri, mi creda.
Dalla dimestichezza dei loro modi si può intuire che, anche se appartengono a due mondi diversi, si trovano spesso a condividere attività e affari.
Dall’ampia vetrata alle spalle del generale irrompe per un momento il fascio luminoso di qualche lontano proiettore, probabilmente quello di uno degli elicotteri che spazzano il perimetro della struttura, se ne sente il ritmico rumore sordo anche attraverso i doppi vetri corazzati.
L’uomo in borghese si alza con l’intenzione di stringere la mano al suo interlocutore.
– Comunque le faccio i miei complimenti, generale. Siete stati più bravi di noi.
– Non dica scemenze, dottore, non era una gara. Torni a sedere, prego.
– Ok, ok, ma mi dica come…
– Siamo stati solamente più fortunati. Voi cercavate nell’aria, noi invece nell’acqua.
– Esatto, e poi nella mia squadra sono morti due dei migliori ricercatori.
– Lo so, mi dispiace per loro, però non creda che anche noi non abbiamo avuto dei caduti, semplicemente non l’abbiamo reso pubblico. Sono certo che lei capirà il mio punto di vista: qualsiasi sia il nemico, in battaglia egli non deve mai conoscere le nostre perdite…
– Comprendo, però mi sembra di capire che non sono morti invano.
Prima di riprendere il discorso, il generale si china ed estrae da un vano sotto alla scrivania una bottiglia, un’inconfondibile bottiglia di Blanton’s e due bicchieri di cristallo, quindi versa il bourbon in un bicchiere e lo spinge lentamente verso il suo interlocutore.
– Beva, le servirà, almeno spero.
L’uomo in borghese attende che il generale si serva, quindi alza il bicchiere nella sua direzione.
– Allora, se permette, io brindo alla sua vittoria.
– Si, certo, dottore, una bella vittoria, tanto bella che abbiamo perso la guerra…
– Come sarebbe a dire perso, ma se mi ha appena detto che finalmente abbiamo ottenuto dei risultati?
– Perso? Ho detto perso? Ah, mi scusi, dottore, forse mi sono espresso male. In realtà il nemico ha fatto cappotto!
Dopo questa frase il generale si abbandona sull’alto schienale della poltrona e se ne sta per un po’ ad assaporare l’aroma del suo bourbon, lasciando interdetto l’uomo in borghese.
– Generale, mi scusi, non riesco a seguirla.
– Al tempo. Sono ormai più di quattordici mesi che sto combattendo contro i fantasmi, e adesso provo quasi pudore nel rivelarne, così, in quattro e quattr’otto, l’essenza.
– Sarò paziente, ma la prego di comprendere la mia curiosità.
– Ha ragione, dottore, la prego di scusarmi. Dimenticavo che pure lei è da un anno impegnato in questa spasmodica ricerca.
– Eh già. Non si riusciva a capire perché la gente avesse cominciato a sviluppare delle forme tumorali prive di ogni evidente nesso di causalità ambientale o comportamentale.
– Infatti era molto strano, – continuò per lui il generale – cancro ai polmoni e alla gola in soggetti che vivevano in zone incontaminate, e che non avevano mai fumato.
– E non pochi casi…
– Salutisti che si ritrovavano il colon distrutto dal cancro, oppure innumerevoli casi di tumore alla prostata in soggetti giovani.
– Per non parlare degli assurdi melanomi che colpivano anche la popolazione meno esposta alla luce solare – aggiunge il ricercatore, quasi a voler mettere anche lui un chiodo su quella croce che da un anno e mezzo straziava l’umanità intera.
Il discorso si spegne, così, come se entrambi non fossero più in grado di sostenere una tale conversazione, e restano un po’ in silenzio, sicuramente pensando a qualcuno che avevano perso, o che stava per andarsene.
Tra i vivi non c’era chi non avesse già un lutto da elaborare, un caro da assistere, e che non provasse un terrore tale da far impazzire una persona sana di mente. Linfomi e leucemie erano aumentate in modo esponenziale, i quasi sempre inoperabili tumori al fegato e al pancreas mietevano migliaia di vittime ogni giorno, e anche laddove di riusciva a intervenire, come nel caso dello stomaco e dei reni, la mortalità rimaneva elevatissima.
Se nel cosiddetto “primo mondo” la situazione sanitaria era già allarmante, a causa della sempre più scarsa disponibilità di trattamenti chemioterapici adeguati e di personale medico in grado di applicarli, nel resto del pianeta si poteva ben parlare di catastrofe, in quanto interi continenti erano paragonabili a dei cimiteri a cielo aperto, senza tombe e senza lapidi, senza fosse e senza becchini, senza funerali e senza confini.
Il generale è il primo a staccarsi da quelle angosciose visioni e butta là una frase, come se gli stesse sfuggendo un pensiero voce alta mentre osserva il dito di liquido ambrato rimasto nel fondo del suo bicchiere
– Maledette sardine…
– Non ho capito. Come ha detto, scusi?
– Per mesi abbiamo cercato gli agenti mutageni nell’ambiente, nuovi catalizzatori enzimatici, infiniti campionamenti. Abbiamo utilizzato le migliori tecniche di indagine, sviluppato modelli, infettato milioni di cavie. Ma cosa sto dicendo, mi scusi, queste cose le sa benissimo anche lei…
– È vero, non risultavano mai delle correlazioni tra il soggetto, l’anamnesi, l’ambiente, l’esposizione e la neoplasia.
– In realtà c’è. Pensi, ce l’avevamo sotto il naso per tutto il tempo.
– No!
– Caro dottore, si metta pure il cuore in pace, anche se l’avessimo capito subito non sarebbe cambiato nulla.
Prima di proseguire, il generale versa nel suo bicchiere dell’altro bourbon, poi passa direttamente la bottiglia al suo ospite.
– Si serva pure, è ottimo.
– Lo so, grazie, ma non vorrei esagerare.
– Lo faccia, lo faccia, potrebbe non averne l’occasione in futuro. Mi dicono che quando si è sotto chemioterapia l’alcol sia vietato.
La frase sortisce il suo effetto terroristico e forse trova anche una sua giustificazione filosofica, comunque è molto persuasiva: godere finché si può, il domani potrebbe anche non esistere. Fatto sta che l’uomo in borghese prende con decisione la bottiglia e si serve senza esitazione.
Il generale riprende a parlare.
– Le stavo raccontando che l’agente mutageno primario ci sfuggiva.
– Sì, purtroppo sembrava inafferrabile.
– Di sostanze in grado di alterare il DNA ne esistono tante in natura, e noi in millenni di civiltà ci siamo messi di buzzo buono per crearne sempre di nuove.
– Beh, generale, adesso non mi verrà a fare una predica ecologica, proprio lei.
– No, no, quello che intendo dire è che il panel di elementi scatenanti la mutagenesi è sterminata, e aumenta ogni giorno che passa.
– È vero, e con questo?
– Quasi tutte quelle che finora conosciamo sono sostanze già manifestamente dannose per l’organismo. Così alla gente abbiamo rivelato le più comuni, o meglio, le più comprensibili: l’asbesto, il benzene, il benzopirene, la diossina, il PVC, le radiazioni, eccetera. In realtà, e lei, dottore, lo sa meglio di me, l’elenco sarebbe lunghissimo e talmente preoccupante che le persone avrebbero persino paura di uscire di casa. Anche in casa comunque non è che…
– Già. Meglio dare alla gente dei colpevoli immediatamente riconoscibili e facilmente evitabili, così se ne sta tranquilla.
Sanno entrambi che alla popolazione, per svariate ragioni non sempre lecite, vengono taciute molte delle possibilità di esposizione ad agenti mutageni. L’industria dev’essere in grado di produrre a costi accettabili manufatti sempre più evoluti e suggestivi. La gente pretende di poter muoversi, sempre di più lontano e sempre più velocemente. Caratteristica dei supermercati è quella di essere strabocchevole di cibo, e questo dev’essere perfetto, asettico ed economico. All’esercito poi non si nega mai nulla, qualsiasi arma, qualsiasi sostanza, qualsiasi metodo, purché siano saldi i confini del patrio suolo.
L’uomo in borghese è uno dei partecipanti a questa congiura del silenzio, sapeva bene dove andare a cercare, perciò si ritiene quasi in dovere di giustificarsi per la sua inefficienza.
– Generale, le assicuro che la nostra squadra ha esaminato anche le interazioni incrociate e i problemi di accumulo, abbiamo fatto un’infinità di test di mutagenesi, e non ne siamo venuti a capo. Voi come avete fatto? C’è forse qualche vostra diavoleria sulla quale non ero stato aggiornato?
– Vista la situazione, un anno fa fummo assolutamente franchi con voi e non vi nascondemmo nulla. Non fu una decisione facile, alcuni pezzi grossi della linea di comando fecero resistenza, ma alla prevalse il buon senso. Vi abbiamo detto tutto, assolutamente.
– E allora, come avete fatto? Noi siamo gli specialisti migliori in campo oncologico, eppure…
Il generale estrae dalla cartella una bustina quadrata di una dozzina di centimetri di lato e la porge al civile. All’interno di quel bianco involucro dev’esserci qualcosa di leggero ma rigido, perché la carta non si flette.
– Diciamo che, come spesso capita, l’abbiamo scoperto per caso. Troverà tutte le informazioni in questo DVD, sempre ammesso che, alla luce di quanto sto per dirle, lei abbia ancora voglia di saperlo.
Visto che il dottore non si decide a prendere il DVD, il militare lo pone su ripiano della scrivania, una luna quadrata che splende fredda sulla notte di scura quercia. Le informazioni memorizzate nel supporto sono ovviamente criptate, e solo conoscendone la chiave di accesso risulterebbero leggibili, altrimenti sarebbe apparso come un banalissimo film da Home Video.
– Generale, mi perdoni, continuo a non comprendere. Secondo me, conoscendo la fonte del problema abbiamo fatto un notevole passo avanti.
– E ha perfettamente ragione dottore. Un vero peccato che si tratti di un passo nel vuoto, e sotto di noi sta uno strapiombo che non lascia speranze di salvezza.
– Ma, in poche parole, chi è il nemico?
– Noi – rispose asciutto il militare osservando l’uomo in borghese e studiandone le reazioni alla notizia.
– Non capisco. Intende dire una sostanza prodotta da noi?
– Più che altro, una sostanza causata da noi.
– Mi scusi, generale, continuo a non capire.
– Vede, in questi ultimi decenni abbiamo continuato a sversare nel mare le peggiori schifezze possibili. Rifiuti, residui chimici, idrocarburi, materiali radioattivi, e tutto il resto che ci dava fastidio vedere sul pavimento di casa nostra o in giardino.
– Se si tratta di una nuova molecola l’avremmo già individuata da tempo.
Si presuppone che i militari siano gente dura, poco incline ai sentimentalismi, eppure in quel momento il generale si rivolge al suo interlocutore con uno sguardo che tradisce indulgenza e rammarico, lo stesso che avrebbe un padre costretto a confessare ai suoi bambini che non ci saranno regali a Natale quell’anno, per motivi economici che lui purtroppo conosce bene, ma che loro non sarebbero in grado di comprendere.
– Infatti, ma non è così. Tutta questa merda che per decenni, come si dice, abbiamo nascosto sotto il tappeto, è finita in pancia ai pesci. Ormai lo sanno anche i bambini che i pesci di grossa taglia contengono sostanze pericolose, e questo perché i pesci più longevi hanno avuto il tempo di assorbirne in grande quantità.
– E quale sarebbe allora questo pesce così pericoloso?
– La sardina. Non gliel’ho già detto prima?
– Forse no. Ma mi sta prendendo in giro?
– Magari fosse così, dottore. Cerchi di seguirmi: perché ciò che è cancerogeno per noi non dovrebbe esserlo anche per i pesci?
– Infatti lo è.
– Appunto. Nel mare però capita che le cose vadano in maniera diversa, che si presentino degli sviluppi imprevedibili. Non a caso gli studiosi affermano che la vita è nata nell’acqua. In questo frangente a diventare mutagena è stata la sardina.
L’uomo in borghese fa un salto sulla sua poltrona e si sporge verso il generale per timore di aver sentito male.
– La sardina? L’intero pesce?
– No, solo una particolare specie di proteina che si è sviluppata nell’intestino, a causa della sua fonte alimentare inquinata da agenti vari e da microplastiche. Il plancton è una forma semplice, con un ciclo vitale brevissimo, ma il pesce ha una struttura relativamente più complessa e longeva, nella quale si è sviluppata quella particolarissima mutazione. Io non so spiegarglielo bene, sono solamente un generale, ma nel DVD troverà tutte le informazioni che le servono.
– Lo spero proprio.
– Questa proteina è gastroresistente, sopravvive in acqua per lungo tempo, e può essere eliminata solamente con un trattamento termico prolungato. Quando viene assimilata ancora integra dall’organismo ospite, si accumula nei suoi organi e ne danneggia il DNA, direttamente, senza bisogno di enzimi o citocromi. È identica a una bella dose di raggi gamma.
– Sembra logico. Ciò spiegherebbe la grande varietà di tumori in soggetti non a rischio o comunque non a contatto con agenti mutageni.
– Esatto. È come se fossimo tutti esposti a un gigantesco fallout radioattivo, con la differenza che, in questo caso, non abbiamo nessuna difesa.
– Come sarebbe a dire? C’è sempre una possibilità di difesa.
– Lei è troppo ottimista dottore, e fa un torto alla sua professionalità. La proteina mutagena ormai ha invaso i mari e gli oceani; la sardina è abbastanza in basso nella catena alimentare, e pertanto quasi tutte le creature marine sono malate, o comunque portatrici ancora sane di questa nuova sostanza micidiale.
Per la prima volta da quando era iniziato il colloquio, l’uomo in borghese si abbanda sullo schienale della sua poltroncina, ma non era per mettersi più comodo, bensì perché teme che il fisico non sia in grado di sopportare il peso della comprensione.
– Tutti i pesci…
– I pesci, i crostacei, i cetacei, i rettili. E poi gli uccelli acquatici che si nutrono di pesce, e i predatori di tali uccelli. Ma ancora non basta. La proteina sopravvive al suo ospite per un certo periodo, e se in questo intervallo di tempo la carogna viene a contatto con l’acqua, l’azione di dilavamento ne trasporta via le proteine mutagene residue, purtroppo ancora vitali. Il passo successivo è ovvio anche per un non addetto ai lavori: se l’acqua viene bevuta da un altro animale, quello diventa a sua volta vettore di questa proteina killer.
– È… è… spaventoso.
– Vero eh? Noi non ce ne siamo accorti perché i pesci malati diventavano prede facili, e finivano presto nelle fauci dei loro predatori. Il tutto rientrava nell’ordine naturale delle cose. Anche quando ci sono state delle morie anomale di pesci, uccelli, mammiferi, e poi anche negli allevamenti, abbiamo indagato superficialmente, adducendo sempre motivi ambientali, oppure occasionali, come infezioni o avvelenamenti. In ogni caso, anche se fossimo stati più scrupolosi, per noi non sarebbe cambiato nulla.
– Come sarebbe a dire nulla? Avremmo preso delle contromisure, isolando i focolai, imponendo rigide quarantene, avvertendo la popolazione, trattando gli alimenti.
– Lei insiste a non voler comprendere. Tutta la carne poco cotta che lei ha mangiato in questi mesi conteneva quella proteina. E anche se magari non mangiasse carne, deve considerare che pure il latte, le uova, i formaggi erano già contaminati. Lei è condannato, io sono condannato, tutti lo siamo ormai. Mi spiace.
– Tutti?
– Sì, tutti, dottore, perché anche se lei fosse un vegetariano integralista, avrà pur bisogno di tanto in tanto di un bicchiere d’acqua, no? Però… questo bourbon è ottimo, vero? La vedo pallido, ne prenda ancora un po’.
In effetti l’uomo in borghese è terreo. La mezza parte del suo volto illuminata dalla lampada, ne palesa lo sgomento. Un condannato a morte che si accosta al luogo del supplizio finale avrebbe probabilmente la stessa espressione stralunata.
Per contro, il generale sembra rilassato, quasi compiaciuto, forse era uscito di senno e non si rendeva conto della situazione, oppure, essendo un militare e avendo da tempo familiarizzato con la morte, non ne aveva più quell’atavico terrore.
– Ma… generale, bisogna fare qualcosa, informare la popolazione, ci sarà pure un modo per difendersi, per salvare qualcuno.
– Caro dottore, le confesso che mi aspettavo questa reazione da lei, ma sono spiacente di informarla che quanto le ho appena raccontato deve restare top secret.
L’uomo in borghese scatta in piedi, e il suo volto scompare dal cono di luce della lampada sulla scrivania; la voce comunque tradisce quella che doveva essere la sua espressione, sicuramente sorpresa e alterata dall’indignazione.
– Come sarebbe a dire top secret? Il Presidente in persona mi ha dato questo incarico, e io provvederò immediatamente a informarlo!
– È già stato fatto, non si preoccupi. C’è stata una riunione nella Sala Emergenze, ad altissimo livello. Il Capo di Stato Maggiore, il Segretario di Stato e il Presidente, sono concordi sulla necessità di mantenere segrete queste informazioni. Neanche i nostri alleati sono stati informati al riguardo.
– Ma non ha senso, tanto, a quanto lei afferma, moriremo tutti!
– Proprio per questo motivo sarebbe perfettamente inutile diffondere queste informazioni. Si scatenerebbe il panico, tutto il sistema collasserebbe, la gente andrebbe fuori di testa e commetterebbe atti inconsulti, sarebbe il caos totale, un inferno.
– Mi spiace, ma non sono d’accordo.
Per la prima volta nel corso della discussione, il generale perde parte del suo aplomb e vibra un pugno sul ripiano della scrivania facendo tintinnare il portalampade. Si sporge verso il dottore e fissa nella direzione probabile del suo volto in ombra; non grida, ma le parole che escono dalla sua bocca hanno un tono grave e un volume più alto di almeno un paio di decibel.
– Cristo, dottore, lei ha passato troppo tempo in laboratorio e troppo poco nelle strade! Se quanto sappiamo ora fosse di dominio pubblico la gente scatenerebbe i suoi peggiori istinti. Certa di non venir punita, in quanto prossima alla morte, perderebbe ogni freno, si abbandonerebbe alla violenza, anche gratuita, assalirebbe gli ospedali, si scannerebbe per un’aspirina o per una bottiglia di vecchia acqua minerale!
– Ma… ma…
– Mi ascolti! Come le ho già spiegato, siamo destinati a morire, tutti, e molto presto. Ma una cosa è cessare la propria esistenza in un ospedale, magari imbottiti di morfina, un’altra è essere squartati in strada, forse dopo aver visto un branco di pazzi infierire sulla moglie, o sulla figlia, con una violenza inenarrabile. Preferirebbe forse morire di sete o di fame perché è collassata la distribuzione dei beni primari? Sappia che energia elettrica, acqua potabile, trasporti, medicine, diventerebbero da un giorno all’altro, un ricordo! Dottore, lei forse vorrebbe questo?
– No, è ovvio, ma… generale, penso che dovremmo almeno informare le autorità mediche.
– Mi creda, in questo caso meno persone sanno e meglio è. La notizia prima o poi trapelerebbe, e allora si verificherebbe quel bel quadretto che le ho illustrato poca fa. Comunque almeno un risvolto positivo questa faccenda ce l’ha.
– Faccio fatica a immaginarlo.
Detto ciò il generale riprende di colpo la sua aria flemmatica, e il tono di voce torna quasi bonario.
– Abbiamo fatto delle simulazioni. Se stavolta siamo stati noi stessi a provocare il patatrac, abbiamo scoperto che poteva benissimo accadere anche senza il nostro intervento. È risultato che anche alcune sostanze emesse dai vulcani sottomarini, in condizioni di particolare concentrazione, e secondo alcune improbabili ma sempre possibili combinazioni, possono generare negli esseri viventi questa micidiale degenerazione genetica. È stato relativamente facile scoprirlo, ormai sapevamo cosa cercare.
– E allora? Non vedo il nesso.
– Semplice, caro dottore: noi ci estingueremo presto, ma almeno adesso possediamo una ragionevole ipotesi sul come e perché i dinosauri si sono estinti in così breve tempo.
– Peccato solamente che i paleontologi non verranno mai a saperlo – afferma con amaro sarcasmo l’uomo in borghese.
Il generale apre distrattamente un cassetto della scrivania e butta un’occhiata su ciò che sta all’interno.
– Allora, che mi dice, dottore, possiamo contare sulla sua riservatezza?
– Generale, io capisco i vostri argomenti, sono convincenti e plausibili, nulla da eccepire, ma io ho il dovere di informare almeno la mia equipe. Convocherò una riunione d’emergenza e decideremo il da farsi, quindi le farò sapere.
– Lo immaginavo. Allora a presto dottore.
L’uomo in borghese gira attorno alla poltroncina e fa per uscire. Un passo verso la porta riesce a compiere prima che il generale faccia fuoco con la sua pistola d’ordinanza che stava nel cassetto, due colpi, precisi, anche al buio. Neanche un lamento. L’uomo è già morto quando il suo corpo tocca il pavimento.
Il generale, tutto sommato, aveva una sua morale: non minacciava, non abbaiava, non amava spaventare, agiva rapidamente e nel modo più rapido e indolore possibile. Si alza in piedi e fissa il punto dove giace il corpo dell’uomo al quale aveva chiuso la bocca per sempre.
– Meglio così, mi creda dottore, occhio non vede cuore non duole, e poi non mi sono mai piaciute le scene isteriche.
Richiamato dal rumore dello sparo, l’attendente irrompe nell’ufficio con la sua pistola spianata, pronto a far fuoco.
– Tutto a posto sergente, tutto a posto. La prego, faccia portar via il cadavere.
– Signorsì signore!
L’attendente scatta come una molla nel saluto militare, quindi usce velocemente dall’ufficio, per organizzare il trasferimento del cadavere all’obitorio della caserma. Nessuno ne avrebbe saputo più nulla dell’uomo in borghese; lì erano molto efficienti.
Il generale, rimane di nuovo solo, se si esclude il cadavere. Si siede, ripone la pistola nel cassetto, lo riaccosta lentamente alla scrivania, quindi ruota la sua poltrona girevole verso le vetrate. L’ufficio è quasi buio, come pure tutti gli edifici circostanti, oscurati per motivi di sicurezza; attraverso il cristallo corazzato si può godere di una discreta visione del cielo stellato, tranne durante quei rari passaggi dell’elicottero.
L’uomo in divisa ripensa alla sua famiglia, alla moglie, già andata, e a suo figlio, pilota, un Top Gun che studiava come un pazzo per diventare astronauta. Allora non sapevano che si trattava di un sogno, e che l’umanità non avrebbe mai raggiunto le stelle. Di colpo, tutti quei romanzetti di fantascienza erano diventati assurdi. Per l’uomo non c’è speranza, e nemmeno per la maggior parte delle specie viventi. L’ennesima estinzione, niente di nuovo sul pianeta Terra.
Ripensa con tristezza al rapporto confidenziale che aveva letto giusto prima di quell’incontro. Il Pakistan accusava l’India di aver diffuso un morbo mortale per sterminare tutti gli islamici del subcontinente. Il governo, cedendo all’isteria popolare, aveva già lanciato tre ordigni nucleari, mancando, per inaffidabilità dei componenti e del materiale umano, tutti i bersagli. A ogni buon conto, il governo indiano aveva deliberato per una ritorsione dello stesso stampo e, tra qualche ora, il mondo ne avrebbe ricevuta la spaventosa conferma.
Terroristi ceceni si erano impossessati di alcuni missili Iskander e annunciavano di volerli lanciare contro una centrale nucleare russa.
Anche la Cina e la Corea del Nord, per indirizzare all’esterno la paura delle loro popolazioni, lanciavano accuse deliranti al Giappone. I vecchi attriti avevano portato la situazione a un livello tale che anche la più piccola scintilla avrebbe causato una catastrofe.
Neppure la CNN riusciva più a tener dietro a quella catena di avvenimenti.
– No, caro dottore, anche se qualcuno, per fortuna o abilità, riuscisse a sfuggire al cancro, non sopravviverebbe all’apocalisse che si sta profilando all’orizzonte. Eppure, se fossimo già arrivati lassù, tra le stelle…
Pur nella sua rigida mentalità da militare di carriera, egli non riteneva impossibile l’esistenza degli alieni, non immaginava l’umanità come unica razza intelligente nel cosmo, sarebbe stato illogico, uno spreco di spazio imperdonabile, anche per una divinità infallibile. Ma gli alieni, quand’anche fossero arrivati non avrebbero trovato l’uomo, al massimo qualche fossile pietrificato sul quale imbastire le più assurde supposizioni.
La domanda è: chi avrebbero incontrato?
Probabilmente gli insetti.
Durante gli esperimenti avevano notato che gli insetti erano, se non totalmente immuni, comunque estremamente resistenti, e considerando il loro numero, la varietà biologica e la capacità di adattamento, ne sarebbero usciti vivi, da quel flagello e dall’olocausto nucleare.
Tra qualche decina di milioni di anni, magari sarebbe sorta una specie più intelligente delle altre, in grado di utilizzare strumenti, di controllare il fuoco, di dominare sulle altre razze di insetti. Gli sarebbe piaciuto vivere in quel mondo, tra esseri bellicosi per natura, dediti anima e corpo alla difesa del nido, del territorio, fino al sacrificio supremo, dove la pietà non esisteva nemmeno come astrazione, un mondo nel quale il bene della comunità veniva infinitamente sopra a quello dell’individuo.
Con una tale dedizione chissà dove sarebbero arrivati un giorno, forse a dominare la galassia, o l’universo intero, fino ai suoi confini, ammesso che questi limiti esistano.
Però… e però, avrebbero potuto anche loro creare delle sostanze estremamente pericolose per la salute, avrebbero magari inquinato il mondo fino al limite estremo della sopportazione, e si sarebbero trovati a vivere lo stesso dramma che stava estinguendo la razza umana.
– Caro dottore, in fondo penso che lei avesse ragione. È necessario informare, dettagliatamente, mettere sull’avviso, spiegare cause e conseguenze. Lei ha solo sbagliato nella scelta del destinatario.
Nella sua mente immagina di far registrare i risultati delle loro affannose ricerche su un supporto resistente, lamine d’oro per esempio, di utilizzare una codifica matematica al posto dell’impreciso ed effimero linguaggio umano; sarebbero state inserite le informazioni necessarie per far capire ai futuri lettori di quanto si fosse evoluta la razza umana, e del perché essa fosse sparita così repentinamente; ciò li avrebbe messi sull’avviso affinché non commettessero gli stessi esiziali errori; poi avrebbe fatto costruire un contenitore a prova di tutto, tempo, erosione, corrosione, bradisismi, esplosioni, di una foggia e con un sistema di apertura che solo una razza tecnologicamente avanzata avrebbe saputo riconoscere; loro, gli insetti, l’avrebbero trovato e, sicuramente meno individualisti, meno egoisti, più lungimiranti, avrebbero capito, avrebbero ringraziato l’umanità per quel regalo salvifico.
Il generale trova ora soddisfazione nell’idea che, grazie ai suoi sforzi, l’umanità sarebbe sopravvissuta alla sua fine biologica, per assumere una dimensione mitologica. Poi guarda le stelle, lassù, lontane e irraggiungibili, ora più che mai, e ripensa a suo figlio, al suo entusiasmo durante l’addestramento, ai sacrifici che aveva fatto per diventare un pilota da caccia, alle promesse di un volo nello spazio, lontano dalle grinfie di questa ottusa gravità, dell’orgoglio del figlio e dell’orgoglio del padre quando vennero a sapere che era stato accettato alle selezioni della NASA. Infine, otto mesi fa, l’annuncio, il programma era stato annullato, i voli interrotti, tutti i sogni infranti.
Il generale butta ancora un’occhiata alla volta stellata. Lo sguardo si indurisce, gli occhi diventano due fessure, i muscoli della faccia guizzano come pesci sottopelle, infine un sorriso amaro e vendicativo fa apparire per un attimo i suoi denti, serrati come una morsa.
– Che si fottano!
Nell’ufficio semibuio e silenzioso, un lampo e il simultaneo sparo sottolineano la sua decisione definitiva.

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