La zeritudine

Se il litro è la misura della capacità volumetrica (in ambito elettrico lo è il Farad), devo assolutamente scoprire qual è l’unità di misura dell’incapacità.
Ne avevo già scritto su My3place, nel post “E poi non lamentatevi se…”, ma pare che non passi giorno senza che mi capiti di constatare gravissimi casi di inettitudine, temo anche incurabili.
Stavolta è successo in una grande catena di ammennicoli elettrici ed elettronici. Non dirò il suo nome, però sappiate che tratta prodotti di consumo che stanno nella “media” (e chi l’ha capita l’ha capita…).
L’oggetto del desiderio era costituito da una stampante multifunzione, una macchina per uso domestico, piccola, poche pagine al minuto, dotata di uno scanner che non sia proprio orbo e che abbia la possibilità di connessione wireless direct, cioè la stampa diretta da uno smartphone o da un tablet.
Gira che ti rigira, capito finalmente al reparto stampanti. Sì, reparto, parola grossa, in quanto saranno stati disponibili meno di una dozzina di modelli.
Evvabbè, vediamo quello che c’è.
Tra quelle (rarissime) sotto i cento euro c’è un modello che potrebbe interessarmi.


Le dimensioni sono abbastanza ridotte, la linea è semplice e ha le funzioni essenziali, però avrei bisogno di un’informazione tecnica fondamentale, perciò vado a caccia di chi si occupa dei prodotti informatici.

Mission impossible.
Passa qualche addetto nei paraggi, ma tutti del settore telefonia, lavatrici, fotografia, frullatori, tappi in sughero e tappi corona, pennini e penne d’oca, carta da regalo, articoli per il rammendo, fiori finti e piante grasse, pagliette da marinaio, e tutti mi consigliamo di rivolgermi allo specialista della zona computer, perché è nei paraggi, l’hanno appena visto e dovrebbe arrivare a momenti, praticamente subito.
Dopo qualche centinaio di momenti vedo appropinquarsi una persona che dovrebbe fare al caso mio. Anzi ce ne sono ben due.
Dal loro incedere e dalle poche parole che afferro dei loro augusti discorsi ricevo l’impressione di trovarmi al cospetto di due filosofi che dibattono i loro sofismi sul peripato attorno all’Acropoli di Atene. Come sono fortunato!
Prendo coraggio e porgo alla loro attenzione il mio modesto quesito, ossia se è possibile stampare direttamente da un dispositivo Android.
Risposta secca.
– Beh, no, non ha possibilità di connessione Wi-Fi.
– Che peccato – rispondo io. – Avrebbe proprio fatto al caso mio.
– Però è strano – fa il secondo “esperto”. – C’è il simboletto della rete Wi-Fi sulla stampante.
Quello di prima si avvicina alla stampante, la osserva con perplessità, come se si trovasse nei meandri di un problema quantistico.
– Aspetta un momento. No, sul coperchio non è indicata questa funzione.
E dicendo questa frase indica anche a me l’etichetta adesiva sul coperchio. Mi sorge il dubbio che m’abbia preso per un analfabeta, come se non fossi già stato in grado di leggere le caratteristiche lì indicate.
Ma è a quel punto che calano il carico da undici.
– Perché non prende invece questa qui? Ha la connessione Wi-Fi e la stampa fronte-retro.


Due cose mancano, una all’ambiente e un’altra a me. All’ambiente manca la musica che accompagna sempre l’ingresso in scena di Dart Fener, e a me la Forza per strangolarli.
Il novello suggerimento si trova esposto a circa tre metri di distanza, dietro una bassa parete. Osservo la stampante, quindi osservo la strana coppia, sperando che dietro al mio silenzio quei due inizino a sospettare che ci sia qualcosa che gli sta sfuggendo.
Niente da fare.
Cric e Croc insistono con solenne pervicacia.
Al che, come nel poker, tocca a me parlare.
– Guardate che questa è la stessa stampante di prima. L’unica differenza è che sul coperchio è presente il caricatore, o alimentatore di fogli per lo scanner.
Vox clamantis in deserto.
Rilanciano e insistono che no, la seconda è diversa, ha la connessione Wi-Fi e la stampa fronte-retro, la prima no.
A poco serve spiegare che, secondo me (non mi arrischio oltre, non si sa mai con certe persone), le due stampanti sono praticamente identiche, e che comunque il fronte-retro non mi interessa, anche perché sulle stampanti da pochi soldi una volta su quattro la carta si incastra all’interno, e per estrarla (a coriandoli) si devono sudare le proverbiali sette camicie. Non li smuove nemmeno il fatto che io sollevi il caricatore della seconda stampante per dimostrare che c’è una separazione fisica tra quella e lo scanner/caricatore, separazione che, di fatto, dovrebbe indurli a un ripensamento circa le loro inossidabili certezze.
Quando poi affermo, con ragionevole cognizione di causa, che nelle stampanti fronte-retro l’operazione di capovolgimento avviene con un meccanismo interno posto nella parte posteriore, uno dei due va a controllare la prima stampante, sbircia dietro e afferma di non vedere niente del genere, come se si aspettasse di vedere una coppia di folletti pronti ad afferrare la carta in uscita per reinserirla capovolta.
Ci rinuncio. Anche se aprissi il pannello superiore per mostrare loro il sistema accessorio di stampa fronte-retro, meccanismo che dev’essere assolutamente accessibile a causa della sua inaffidabilità e della conseguente esigenza di intervento manuale riparatorio, non lo distinguerebbero da un mangano per la strizzatura del bucato. Taglio corto e ritorno alla prima stampante, quella che, secondo i due premi Nobel, non avrebbe l’opzione fronte-retro e la connessione Wi-Fi.
Tadaa, colpo di scena.
La stampante esposta è l’unica a disposizione, nel senso che c’è solamente la stampante, senza l’imballo, e a quel punto sospetto anche senza tutto il materiale accessorio di solito contenuto nell’imballo, in primo luogo le istruzioni e il software.
Bella situazione, è come trovarsi in un negozio di alimentari, col commesso che ti fa – ecco qua un chilo di farina, però non abbiamo il cartoccio, perciò metta le mani a coppa che gliela verso. Mi raccomando, stia attento mentre torna a casa, anche perché oggi, che sfortuna per lei, è una mattinata particolarmente ventosa. Buona giornata.
Decido che è meglio lasciar perdere.
– Grazie, ci penserò. Buona giornata.
Già, poi ci vengono a predicare che bisogna sostenere i commercianti sul territorio, che internet è la loro rovina, che l’eventuale chiusura dei negozi comporterebbe gravi conseguenze economiche e sociali, però “ogni limite ha la sua pazienza” (Totò).
In troppi casi ho avuto l’occasione di misurare l’incapacità degli addetti ai punti vendita, emeriti chilozeri, megazeri, gigazeri, terazeri, cartonati assoluti che non hanno idea di cosa stanno facendo, ma comunque lo fanno con approssimazione e di malavoglia, rubando un posto di lavoro a chi veramente ci sarebbe tagliato per indole e per passione, perché esistono, giuro, però valli a pescare.

P.S. Alla fine della storia ho trovato la stampante che cercavo, sempre lì, l’ultima spiaggia dove tutto è possibile, e non è nemmeno internet.

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2 thoughts on “La zeritudine

  • quando si va a comprare non c’è di peggio di trovare personale incapace e a volte pure maleducato ,è pur vero che anche il cliente a volte a dir loro è pesante ,ma nel commercio vice sempre il detto ” il cliente ha sempre ragione “se si vuole vendere ,aver un po di cordialità ed esperienza nel pro pio lavoro non guasterebbe a tutte e due le parti ,personalmente se trovo commessi che consigliano (uomo o donna che siano ) ci ritorno ,ma può essere il miglior negozio della zona se mi ritrovo personale che gli fai il nervoso perchè si chiede qualche spiegazione , sta pur certo che non ci vado più e ne faccio pur cattiva pubblicità .
    Ajo 🙂

    • Purtroppo sono due aspetti deteriori che si sposano perfettamente. Da una parte abbiamo il cliente, una persona non troppo preparata, o addirittura ammaestrata dalla pubblicità, e che quindi compra quello che c’è e che costa meno, mentre dall’altra parte il servizio viene svolto da commessi che, stante la loro precarietà di impiego, non sono stimolati impegnarsi e imparare, dimostrandosi supponenti, distratti, approssimativi, e in buona sostanza inutili.
      Ahoj
      🙂

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